In quest’articolo andremo alla scoperta di quella che è stata la storia della produzione dell’intero documentario. Tutto partì nel 1997 da un’intuizione di Andy Thompson, all’epoca produttore di NBA Entertainment, che ebbe l’idea di iniziare delle riprese su un intero anno di gioco di Michael Jordan, un’idea sicuramente vincente ma che andò incontro a non pochi ostacoli. Nonostante il budget pressochè illimitato, sopratutto per l’epoca, per l’inizio delle riprese era necessario convincere, oltre al presidente dei Chicago Bulls che diede il lascia passare quasi subito, Michael Jordan e sopratutto il coach della squadra, Phil Jackson. Quest’ultimo prima di accettare impose una sola e semplice condizione, al suo segnale la troupe avrebbe dovuto allontanarsi dai giocatori immediatamente senza se e senza ma. Per quanto riguarda Jordan, invece, l’uomo in quell’epoca era gestito dall’agente David Falk, il quale era particolarmente attento all’immagine del suo protetto. L’unico compresso che si riuscì a strappare fu che di quelle riprese, una volta terminate, nè l’NBA ne Jordan potesse trasmetterle senza ottenere l’uno il consenso dell’altro.
Questo ci porta finalmente ad oggi, infatti all’epoca furono più di 500 le ore di filmati raccolti dalla troupe televisiva ma nessuno riuscì a convincere Jordan nella realizzazione di un documentario. Molti tentarono nel corso degli anni, uno su tutti Spike Lee, ma niente da fare fino al 2016 quando alla porta dell’ex cestista dei Bulls non si presenta Mike Tollin, già famoso per il film “Coach Carter” sempre inerente al mondo del basket. Un ulteriore referenza per Tollin fu l’aver girato un documentario su un altro campione del basket, Iversen, sul quale Jordan dichiarerà:” “Lo hai fatto tu? L’ho guardato tre volte. Mi ha fatto piangere”.
Infine, per quanto riguarda la scelta del titolo, Jordan scelse “The Last Dance” frase motivazionale spesso ripetuta dal suo allenatore il quale al termine della stagione già sapeva che sarebbe stato allontanato dalla dirigenza dei Bulls.
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