È uscito da pochi giorni nelle sale italiane Interstellar, il nuovissimo film di Christopher Nolan che, dopo il successo con Il Cavaliere Oscuro, lo vede impegnato in questo attesissimo lungometraggio fantascientifico.
[su_note note_color=”#fff9a6″ radius=”6″ su-note-inner=”box-spoiler” ]Avvertiamo i lettori che la seguente recensione contiene spoiler sulla trama. Se non hai visto il film o non vuoi rovinarti eventuali colpi di scena non continuare a leggere![/su_note]
Non andartene docile in quella buona notte i vecchi dovrebbero bruciare e delirare al serrarsi del giorno. Infuria, infuria contro il morire della luce.
Premetto di essere a conoscenza della disputa tra scienziati radicali – che non tollerano la benché minima svista in un film fantascientifico – e resto del mondo – capace di passare sopra alle imprecisioni (o forse soltanto incapace di coglierle). Ai primi voglio dire che hanno tutta la mia comprensione: davanti a “Troy” sono stata scossa da violentissimi spasmi di disapprovazione mentre Menelao moriva dopo cinque minuti di battaglia anziché tornare a casa sano e salvo o una decrepita ninfa Teti bagnava in un ruscello le sue avvizzite e per nulla divine membra. Tuttavia sono convinta che le aspettative deluse chiudano ingiustamente gli occhi sui meriti di qualsiasi prodotto creativo. Sono contenta, in sostanza, di essermi seduta, questa volta, in tribuna “ignoranti” e di essermi goduta tre ore di viaggio nello spazio e nell’animo umano.
“Interstellar” si apre con la sovrapposizione temporale, che si rivelerà poi chiave di lettura dell’intero film e che, come sa bene chi ha visto altre opere del regista, è il “vizio assurdo” di Cristopher Nolan: volti di anziani che raccontano, come in un’intervista, il mondo di quando erano bambini si alternano, attraverso un uso sapiente ed efficace del montaggio parallelo, alla vita quotidiana di una famiglia di quella stessa epoca. Si tratta del nucleo familiare composto dall’ex pilota Cooper, ormai agricoltore come tutti i suoi contemporanei, i figli Tom e Murphy e il suocero Donald.
Sono tempi difficili: la Terra è minacciata da una Piaga (simile alla Giungla Tossica della Nausicaa di Miyazaki) che la rende sempre più inospitale. I suoi abitanti si sono trasformati da Pionieri, avventurosi esploratori, in Guardiani. È una condizione, questa, che sembra star bene a tutti compreso Tom, figlio maggiore di Cooper, che ha come massima aspirazione quella di diventare contadino come suo padre.
Ci sono, però, pochi inguaribili insoddisfatti. È l’antica e sempre nuova epopea dell’eroe che esce dal luogo comune, dall’omologazione, e si spinge oltre quelli che sembrano limiti invalicabili per consentire alla sua civiltà di evolversi e, in questo caso, di scampare a un cruciale pericolo.
Il Prometeo dei tempi moderni è uno splendido Matthew Mcconaughey, impeccabile come sempre, nei panni di un pilota aerospaziale frustrato e incapace di arrendersi all’angosciante stato delle cose. Il tema principale, a mio avviso, è il “nido“, la casa. Quel tepore a cui è difficile rinunciare, persino quando diventa soffocante. La civiltà dei Guardiani, infatti, è una civiltà-gabbia, chiusa nei propri affetti e nella propria sussistenza. L’eroe non è insensibile alla tentazione di quel calore. In particolare lacerante è il distacco dalla figlia con la sensibilità troppo simile alla propria e con la quale ha un rapporto esclusivo. Eppure Cooper ha la piena consapevolezza che un tentativo di cambiare le cose è dovuto a se stesso, ai suoi figli e all’intera umanità. Ogni allontanamento dal proprio luogo d’origine ha le stesse caratteristiche: il dolore dell’abbandono, la paura di non fare ritorno, il terrore dell’ignoto e un’incrollabile speranza.
Stridente il conflitto tra antropocentrismo e cosmocentrismo: la riflessione di Nolan parte dalla superbia dell’uomo che percepisce la Terra come una casa costruita apposta per lui e vuole ricordargli il vuoto e l’immensità che lo circondano. Il regista sembra schierarsi in favore dello slancio evolutivo, della spinta a partire alla ricerca di nuove risorse. Eppure l’Universo sembra sempre troppo grande e potente e l’uomo troppo piccolo e pretenzioso. Le spedizioni degli scienziati ottimisti, convinti che dei “loro” indefiniti li stiano conducendo verso una nuova e ospitale dimensione sono tutte fallimentari.
Come molti sapranno, Nolan si diverte a giocare con gli orologi e il viaggio interstellare gli offre ghiotte occasioni in questo senso. Quando Cooper e Amelia fanno ritorno da un pianeta vuoto di opportunità, su cui regna incontrastato un sempre meraviglioso e terribile mare, per loro è trascorsa qualche ora mentre per i loro cari ben ventitré anni. Matthew Mcconaughey guarda in successione i videomessaggi dei suoi ragazzi che crescono fotogramma dopo fotogramma e piange rendendo alla perfezione la misura dell’umanità nel superuomo. Che gli sbalzi temporali servano al regista per far risaltare l’amore è chiaro anche dal saluto paradossale tra una figlia ormai anziana e un padre ancora giovane.
Concordo con chi ha visto il patetico particolarmente presente in questa pellicola ma, in una favola mitologica come questa dell’eroe alla conquista di nuovi mondi per salvare il proprio e la vita dei propri figli, i sentimenti dovevano essere netti e l’amore doveva avere un posto centrale.
Un film coinvolgente dunque, paradigma del coraggio dell’uomo di rinnovarsi continuamente e del suo inarrestabile istinto di sopravvivenza, che, però, mi ha indispettita sul finale, quando Nolan non ha resistito alla tentazione di mettersi a giocare con i suoi indovinelli. Il regista ha vistosamente tentato di dare risposte a tutti i segnali lanciati a inizio storia e di collegare ogni punto per formare un cerchio perfetto. Peccato che il suo sforzo di Demiurgo sia così visibile da distaccare dal film, da troncare di netto il filo che collega spettatori a personaggi.
Se il film si fosse mantenuto lineare, non banale ma semplice ed efficace nel messaggio e nei contenuti e avesse lasciato alla magnifica fotografia il compito di stupire lo spettatore, il mio giudizio sarebbe stato completamente positivo. La complicazione del plot cercata a tutti i costi è il vero errore di calcolo di Nolan in questa sua ultima megalomane avventura.
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