Matteo Garrone, dopo aver fotografato la realtà con Gomorra, ci racconta una fiaba che è l’intreccio di tre racconti tratti dal Pentamerone di Giambattista Basile. Desiderio di evasione? No, perché la novellistica popolare è da sempre impietoso specchio dell’uomo.
[su_note note_color=”#fff9a6″ radius=”6″ su-note-inner=”box-spoiler” ]Avvertiamo i lettori che la seguente recensione contiene spoiler sulla trama. Se non hai visto il film o non vuoi rovinarti eventuali colpi di scena non continuare a leggere![/su_note]
Salma Hayek è un’algida regina consumata dal desiderio di maternità; Vincent Cassel un re Casanova, letteralmente accecato dalla “bramosia d’amore”; Toby Jones un padre possessivo e disattento. La pellicola smaschera l’incapacità dell’uomo di relazionarsi a se stesso e agli altri: racconta di legami malati, dove l’egoismo vince sull’amore. Sono storie già sentite, già narrate, già viste: nei libri e nella vita di tutti i giorni. La donna sterile disposta a pagare qualsiasi prezzo pur di generare una sua creatura, i figli intesi come proprietà inanimata, il povero e il ricco accomunati da un’identica sensibilità, la sorella annientata dall’invidia per l’altra sorella e infine la ragazza innocente data in sposa a una bestia. I topoi letterari si rincorrono: la prova, l’aiutante, la metamorfosi. Garrone li arricchisce con pennellate di pessimismo paternalistico: nessun lieto fine se non per chi lo ha meritato distinguendosi per virtù, come Elias o Viola.
Il primo episodio incanta soprattutto per il gioco di simmetrie: la determinazione della regina è messa in risalto dal contrasto tra il nero degli abiti, il rosso del cuore che la donna ingurgita voracemente e il candore delle pareti del palazzo reale. Simmetrici sono anche i destini della nobildonna che stringe il suo “patto col diavolo” e della popolana che ne è l’ingenuo strumento: due donne tanto diverse danno alla luce due figli identici e inseparabili. Il principe Elias, però, messo al mondo con caparbietà, vede i suoi passi indirizzati a ritroso, verso il grembo materno. Sua madre ha voluto farlo nascere per sé, non per la vita. L’amicizia con Jonah, però, lo rende libero e insegna definitivamente alla regina la lezione che non volle imparare sedici anni prima: ogni nascita presuppone una morte, un sacrificio.
La vicenda del re e delle povere vecchine si origina da un equivoco: una splendida voce fa credere che a possederla sia una giovane attraente. Acceso per errore il desiderio del sovrano, Emma e Dora, due decrepite sorelle che vivono nella miseria, reagiscono diversamente all’insperata opportunità: la prima è prudente, preferisce preservare la sua infima condizione pur di non rischiare un destino ben peggiore; l’altra, invece, decide di utilizzare il suo ingegno per tentare un’ascesa sociale. La metamorfosi, come spesso avviene nelle fiabe, è chiamata a rappresentare visivamente tale ascesa. In una scena che ci ricorda il celebre mito di Amore e Psiche, l’amante curioso infrange la promessa fatta all’amata e ne scopre le orrende fattezze. Quando tutto sembra essere perduto, però, la fortuna premia l’audace: una fata trova Dora scampata alla morte nel bosco e, allattandola, la tramuta in una giovane e attraente Stacy Martin pronta a incantare e sposare il re. È il momento dei rimpianti per la sorella meno coraggiosa: colei che si era accontentata ora brucia di invidia. Si chiede come l’aspetto di Dora sia potuto cambiare così tanto e presto il dubbio diventa ossessione. “Come hai fatto? Come hai fatto?” ripete insistentemente, come un ritornello, finché la sorella, per mandarla via, le risponde in maniera sbrigativa: “Mi sono fatta scorticare“. Troppo tardi Emma tenta il tutto per tutto: si fa strappare la pelle per ottenerne soltanto una morte atroce.
La storia su cui Garrone interviene maggiormente è la terza. Il racconto di riferimento è intitolato “La pulce“. Inizialmente, infatti, al centro dell’attenzione ci sono un re e la sua passione per gli insetti, che è così totalizzante da fargli scordare la bella e virtuosa figlia. Morto, però, Scuccy, l’animale da compagnia, il re decide di utilizzarne la pelle per impedire alla principessa Viola di lasciare la dimora paterna: chiunque indovinerà a quale animale appartenga avrà in sposa sua figlia. Il re, infatti, è certo che non esista essere umano in grado di riuscirci. A spuntarla, come previsto, non è un uomo ma un temibile orco che trascina Viola con sé nel suo oscuro antro. Interviene, per fortuna, l’aiutante: una famiglia di circensi capitanati dai camei Alba Rohrwacher e Massimo Ceccherini.
Dopo aver criticato l’uomo scoperchiando il vaso di Pandora contenente tutti i suoi difetti, Garrone cambia rotta e lo esalta osannandone l’istinto di sopravvivenza, la determinazione, il coraggio, la volontà, la sete di giustizia. E, mentre un funambolo cammina sospeso su un filo infuocato, ogni equilibrio si ricompone: il giusto re sul trono, i genitori puniti, i figli liberi, la finta giovane che si ritrasforma in se stessa.
Il Racconto dei Racconti è un film che coglie il grottesco di ogni vita vera, che fonde – a volte maldestramente – il fiabesco con l’ideologia ma che riesce ad incantare lo spettatore e a mostrargli le diverse declinazioni di se stesso.
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