“Finalmente un episodio capace di movimentare una stagione lenta e povera di emozioni” sentenzia il popolo dei social. “Gli ultimi venti minuti mi hanno lasciato con il fiato sospeso”, “Devo rivederlo subito” sono i commenti che ho letto in giro appena dopo che l’ottava puntata della quinta stagione di Game of Thrones è stata trasmessa.
Ma cosa ha avuto di straordinario questo episodio?
[su_note note_color=”#fff9a6″ radius=”6″ su-note-inner=”box-spoiler” ]Avvertiamo i lettori che la seguente recensione contiene spoiler sulla trama. Se non hai visto l’episodio o non vuoi rovinarti eventuali colpi di scena non continuare a leggere![/su_note]
A Est la regina di Meereen, con il volto contratto da tensione e commozione, si ritrova a dover decidere del destino dei suoi prigionieri: una vecchia conoscenza e uno scottante nuovo arrivato. Per Tyrion conquistare Daenerys è un gioco da ragazzi: la retorica e l’intelligenza sono le sue armi migliori e, per l’occasione, le affila alla perfezione. Riesce a salvarsi la vita e persino a ottenere un posto privilegiato a corte. La giovane Targaryen è argilla tra le sue mani: dopo qualche battuta è più interessata a sapere se il suo interlocutore la consideri una sovrana degna del suo nome che a scoprire se tenerlo in vita sia o meno una scelta saggia.
Per ser Jorah, purtroppo, non c’è niente da fare: Tyrion prova a convincere Daenerys che eliminare gli uomini che le sono devoti non ispirerà devozione ma è costretto a mostrarle anche comprensione per il torto subito. Incapace di far uccidere il cavaliere, la regina lo allontana dalla città. Lo vedremo guardarsi il polso come fosse una bomba a orologeria. Non gli resta molto da vivere: deve rientrare nelle grazie di Daenerys il prima possibile e a tutti i costi. Ecco perché ritorna dal suo vecchio padrone e lo implora di poter combattere davanti alla regina offrendo in cambio se stesso. Cosa avrà in mente? Riuscirà finalmente a piegare l’orgoglio della donna che ama o preferisce una morte gloriosa a una vita senza di lei?
La storyline di Arya si fa finalmente più avvincente: la ragazza è diventata qualcun altro, Lanna, una venditrice di ostriche. Ne racconta le avventure a Jaqen H’ghar, maestro severo ma fiducioso. Finalmente l’apprendista riceverà un compito: dovrà vedere, capire, trarre delle conclusioni e, se necessario, intervenire in nome del Dio dai Mille volti. Le vicende di Arya ormai sono un rompicapo: star dietro agli enigmi di Jaqen non è facile ma l’idea del gioco delle identità è geniale, efficace e finalmente ben resa sullo schermo nonostante la ancora poco intensa recitazione di Maisie Williams.
Alla sua sostanziale inadeguatezza corrisponde l’incanto per gli occhi e per le orecchie offerto dal solito duo Allen-Turner. Puntata dopo puntata, il loro confronto guadagna volume: Theon confessa di aver fatto la spia con Ramsay per aiutarla ma fa una confessione ancora più scottante: non ha ucciso Bran e Rickon. Sansa, che non è più sconvolta e coperta di lividi ma tornata alla sua compostezza e al suo sguardo lucido e determinato, incalza: “Theon, ti prego, THEON.” Per lui è troppo: “Basta, basta, non Theon, REEK!” urla e scappa via.
Di Approdo del re ci viene mostrata soltanto la cella di cui è ospite Cersei Lannister, che non ha perso la sua fierezza: non ha intenzione di confessare, di piegarsi; preferisce prendere schiaffi in faccia, vedersi negati cibo e acqua piuttosto che inginocchiarsi ai piedi di un uomo scalzo che lei stessa ha creato. L’incontro con Quiburn è commovente: all’udire di Tommen, la voce della regina si rompe in pianto. Cresce la determinazione della Leonessa: vuole uscire dalla gabbia, riabbracciare suo figlio, proteggerlo, ma, evidentemente, non è ancora pronta. Per l’ennesima volta le manca l’umiltà di obbedire alla sua carceriera. E le toccherà leccare il pavimento per dissetarsi. In molti avranno goduto nel vederla finalmente prostrata. Per altri, me compresa, in quell’umiliazione autoinflitta si è celebrata finalmente la grandezza della regina reggente che è regina di se stessa anche senza monili e abiti sfarzosi perché non lascia ad altri il controllo della sua vita, neppure quando ne è prigioniera. Lungi dal vedere una Cersei sconfitta, dunque: questa è la Cersei che piace a me e che Lena Headey interpreta divinamente.
L’ultima parte dell’episodio è dedicata a Jon e i suoi confratelli: dopo un dialogo di Sam con Olly, il giovane assassino di Ygritte, in cui il corvo tenta di far comprendere al ragazzo la decisione dell’amico, ci viene mostrata la gloriosa spedizione ad Aspra Dimora. Dopo comprensibili titubanze, la maggior parte dei bruti decide di fidarsi di Jon, perché Tormund garantisce per lui e perché è innegabile che la strategia proposta sia l’unica applicabile se si vuole sopravvivere. Jon, in questa stagione, è coraggioso e lungimirante: incita a pensare ai vivi piuttosto che ai morti, al presente e al futuro piuttosto che al passato.
La partenza sulle barche sembra una scena di Titanic: eccessivo patetismo, la telecamera che si sofferma sulla storia di una donna – una dei primi bruti a schierarsi con i nostri – che mette in salvo le sue bambine e che perderà la vita combattendo coraggiosamente. Quando tutto è quasi pronto, però, casualmente improvvisamente cala il gelo e comincia The Walking Dead o, a scelta, il video di Thriller di Michael Jackson. I nostri amici Estranei fanno il loro ingresso trionfale accompagnati da non morti e mostriciattoli scheletrici non meglio identificati. Tra loro riconosciamo l’uomo pallido con i capelli a spine che, finalmente lo capiamo, in realtà sono una corona e la bambina della prima puntata della prima stagione che, siccome è lì da tempo immemore, guida l’ala dei (non)morti da piccoli. La battaglia è avvincente, ricca di effetti speciali, sorprese e conferme. La spada di Jon uccide un Estraneo, quello con i capelli lunghi. Sarà merito dell’acciaio di Valyria o Jon è dotato di un carisma particolare? Questi fotogrammi sono pieni di spoiler per i lettori quindi, per ora, siamo tutti stretti in un unico grande abbraccio a domandarci come andrà a finire. Molto bello lo sguardo lungo e intenso tra il re degli Estranei e il Lord Comandante che si allontana sul mare mentre nuove reclute zombie risorgono a nuova vita. Senza parlare l’uomo bianco è come se dicesse all’uomo nero: “Siamo sempre di più” e negli occhi di triglia dell’uomo nero, che però questa volta ha recitato bene, si dipinge la paura che ogni suo sforzo si riveli inutile.
Non sono stata emotivamente coinvolta da questa battaglia: credo che la cifra di Game of Thrones sia l’analisi psicologica quindi preferisco un altro tipo di scene. Non mi pare, inoltre, siano stati sfiorati lo splendore e la complessità della battaglia delle Acque Nere. È stato, però, un momento innegabilmente importante per la trama: forse ha suggerito un’importanza particolare del personaggio di Jon, sicuramente ha ribadito che il vero nemico si trova a Nord.
Questo episodio mi è piaciuto per motivi diversi da quelli che ho letto negli entusiastici commenti dei fan: ho visto la piccolezza dell’uomo quando si scontra con qualcosa di enormemente più grande di lui. Ho visto una donna annientata dalle guerre intestine tra esseri umani determinati a primeggiare e la sua grandezza rivelarsi nello sforzo di non soccombere mai e di preservare la propria dignità. Ho visto forze contro le quali è quasi impossibile avere la meglio e un selvaggio e primordiale attaccamento alla vita che è l’unica arma per combatterle. Quello di Sansa, di Theon, dei disperati soldati di Aspra Dimora. Ho visto, infine, la passione che dà un senso a ogni esistenza: l’amore di Jorah, l’utopia di Daenerys e Tyrion, finalmente insieme.
Nonostante questa stagione sia più scadente delle altre perché sempre più difficile risulta aderire al modello, Game of Thrones non smette mai di parlare straordinariamente dell’uomo, dei suoi limiti e dei suoi picchi di splendore.
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