Meereeen, la Barriera, Grande Inverno e le rovine dell’Antica Valyria gli scenari di questo avvincente episodio. La madre dei draghi, il prode Jon Snow, re Stannis, Sansa e i Bolton + 1 (Reek), Tyrion e ser Jorah i suoi grandi protagonisti.
[su_note note_color=”#fff9a6″ radius=”6″ su-note-inner=”box-spoiler” ]Avvertiamo i lettori che la seguente recensione contiene spoiler sulla trama. Se non hai visto l’episodio o non vuoi rovinarti eventuali colpi di scena non continuare a leggere![/su_note]
“Fuoco e sangue” sembrano urlare gli occhi dell’ultima Targaryen dopo l’agguato teso ai suoi soldati da un branco di “codardi che combattono nascondendosi dietro una maschera“. Con ser Barristan la regina ha perso l’ultimo amico fedele nonché l’unico legame rimastole con l’Occidente. Rivediamo la Khaleesi che fece innalzare la pira funeraria per incendiarvi l’amore, il nemico e se stessa: ad abbagliarci è ancora una volta, dopo tanto tempo, la sua furia distruttrice. I capi delle famiglie più illustri della città sono convocati nei sotterranei e portati al cospetto dei draghi. Che siano colpevoli o no, Daenerys intende lanciare loro un messaggio ben preciso: se si gioca col fuoco, prima o poi si finisce bruciati.
Tutti gli sguardi tradiscono terrore, persino quello dello sfrontato mercenario Daario Naaris. Gli occhi della regina, invece, sono vitrei. Il suo, però, non è cieco furore ma ferrea volontà. Lo sterminio, infatti, si ferma dopo una breve ma intensa dimostrazione. A Daenerys interessa escogitare finalmente una strategia vincente e, con l’aiuto di Missandei, che non fa altro che ricordarle quanto sia importante sapersi fidare dell’istinto, ci riesce. Se c’è una cosa che ammiro della madre dei draghi è la sua capacità di ammettere gli errori e tornare sui propri passi. Determinata a rappresentare la sua gente, ne accoglie le tradizioni pur non comprendendole e sposa un nobile del posto, a suggello di una nuova duratura alleanza.
Jon Snow riceve l’insegnamento che dà il titolo all’episodio e che potrebbe essere chiamato a rappresentare l’essenza dell’intera stagione:
Kill the boy, let the man be born.
Il Lord comandante dei Guardiani della notte, come la maggior parte dei personaggi della saga, è cresciuto. È il momento, per lui come per Daenerys, Sansa e tanti altri, di uccidere il ragazzo per permettere all’uomo di venire alla luce. Le decisioni da prendere sono difficili e impopolari, vere e proprie scommesse. Jon ha conosciuto i Bruti ma, se per lui sono uomini con virtù e debolezze, per i suoi confratelli si tratta ancora di nemici senza volto, selvaggi da sterminare e da cui difendersi. L’orgoglio impedisce ai Corvi quanto a Tormund Veleno dei Giganti di guardare alla realtà con la lucidità e la lungimiranza dimostrate da Jon: metter fine a un conflitto secolare e insensato vorrebbe dire salvezza per entrambe le parti. Parlare a uno solo si rivela comunque più facile che rivolgersi alla massa, specie quando essa è sostenuta da un’istituzione: il Lord comandante partirà per portare a termine la sua missione nonostante l’incomprensione della confraternita che è chiamato a rappresentare, ma per il suo bene. “Trarrai ben poche gioie dal comando ma, con un po’ di fortuna, forse riuscirai a trovare la forza per fare ciò che è giusto” echeggia la voce roca di Maestro Aemon.
Finalmente giustizia è resa a re Stannis Baratheon che, dalla quarta stagione, è tornato barbuto, affascinante, nobile d’animo e intelligente. Prima si informa sui metodi infallibili per eliminare gli Estranei e conclude la sua inchiesta con una suggestiva esortazione al nostro Sam: “Keep reading, Tarly!“; poi rompe gli indugi e parte alla conquista di Grande Inverno nonostante le titubanze e l’umanissima paura del fido ser Davos.
Nella fortezza un tempo inespugnabile, intanto, l’austera e incrollabile Sansa resiste, ultimo baluardo del glorioso Nord. Le numerose rassicurazioni che riceve consolano anche noi, nonostante provengano da Brienne che, finora, non ne ha combinata una giusta.
Ramsay Bolton ci dà un assaggio della sua follia: non scuoia ancora nessuno ma si diverte con torture psicologiche indirizzate a Reek, “che fa rima con freak: mostro“, e alla sua futura moglie.
La riunione tra Sansa e Theon è un incontro tra giganti: le interpretazioni di Sophie Turner e di Alfie Allen sono magistrali. Con le voci che tremano e gli occhi sgranati, ci raccontano in poche parole la pietà mista a profondo disgusto dell’una e la vergogna e il cieco terrore dell’altro.
A cena con “mamma e papà” l’atmosfera è kafkiana: Ramsay il sadico fa di tutto per umiliare Reek e far soffrire Sansa. Alla povera ragazza scappa qualche lacrima: per la famiglia sterminata, per il degrado della sua dimora e di quelli che vi sono cresciuti. La mano decisa, però, corre ad asciugare il viso provato e la parola, ormai audace, non ha timore di farsi diretta e provocatoria: “Perché fai questo?” chiede Sansa al futuro marito; “Sono molto felice per voi” dice poi sorridendo ai suoceri, subito dopo l’annuncio del “lieto evento”.
I Bolton, infatti, avranno un bambino. La notizia, lanciata come un proiettile dal capofamiglia, rovina la festa a Ramsay che non manca di esprimere le proprie preoccupazioni al gelido padre.
Roose Bolton è quello di sempre: algido, elegante; con la stessa calma è capace di offrire un pasto caldo e raccontare di quando ha commesso un terribile stupro. È un uomo intelligente: è evidente da come è capace di gestire il suo imprevedibile figlio. La tecnica è vecchia come la regina di Spine: bastone e carota. Prima ha fatto vacillare le certezze e la prepotenza di Ramsay rivelandogli che può venire al mondo qualcuno con pretese più valide delle sue, poi lo ha rassicurato dimostrandogli di sentirlo come parte della famiglia e di avere assoluto bisogno di lui.
E il povero Ramsay ci fa pena quando ci accorgiamo che assomiglia a tutti i bastardi, a tutti i figli che desiderano soltanto di compiacere il proprio vecchio.
Devo dire che preferivo Tyrion e Varys come compagni di viaggio: Jorah il noioso aveva proprio bisogno che un colpo di scena gli si abbattesse addosso come un fulmine per destare la nostra attenzione. E così, fortunatamente, è stato. Prima l’emozionante traversata tra le rovine di Valyria ci fa accapponare la pelle al pensiero di quanto non importa quanto grande tu sia: il fato può spazzarti via da un momento all’altro, impietoso e definitivo. Poi l’assalto degli uomini di pietra. Finalmente capiamo perché tanto si era insistito finora sulla malattia della piccola Shireen: il morbo grigio è una minaccia, l’ennesimo pericolo in questo vacillante mondo del ghiaccio e del fuoco. L’episodio si chiude con il braccio di Jorah sorprendentemente infettato. Sorprendentemente perché, neanche a dirlo, nei romanzi non gli spetta tale sorte infelice.
Io resto compiaciuta per l’ottima capacità di sintesi degli autori ma so che molti altri fan fremono di rabbia. Il popolo dei social ha stabilito categorie ben precise per etichettare le varie tipologie di seguaci della saga. Io rientro tra gli uomini senza onore che hanno letto e amato Martin ma che si godono ogni istante dello show. Continuo a trovarlo godibile e di grande qualità. L’episodio centrale della quinta stagione merita il mio ennesimo giudizio positivo: non ancora esplosivo ma ricco di tensione e pathos.