Quarta tappa: “I figli dell’Arpia“. Il titolo dell’episodio è foriero di oscuri presagi: immediatamente ci figuriamo gli inquietanti ceffi mascherati che seminano il terrore per le strade di Meereen. Eppure, come al solito, la storyline di Daenerys è posta in coda alla puntata, ne costituisce la scioccante chiusa.
[su_note note_color=”#fff9a6″ radius=”6″ su-note-inner=”box-spoiler” ]Avvertiamo i lettori che la seguente recensione contiene spoiler sulla trama. Se non hai visto l’episodio o non vuoi rovinarti eventuali colpi di scena non continuare a leggere![/su_note]
Il primo scenario ad aprirsi ai nostri occhi, subito dopo la sigla di apertura, è la cupa riva di un mare sconosciuto: lì un Jorah Mormont dagli occhi spiritati trascina il suo prezioso bottino, Tyrion Lannister, che appare sinceramente in difficoltà e disperato. Troppo facile per noi intuire quale sia lo scopo del cavaliere decaduto, ecco perché gli autori decidono di procrastinarne la rivelazione. Ci accompagnano, invece, su una nave diversa, con ben altro equipaggio.
Ed ecco finalmente un Jaime Lannister che inizia a rivendicare la propria dignità di personaggio. Con lo sguardo romantico e sognatore che gli abbiamo visto nei suoi momenti migliori, quelli in cui è venuto a galla il suo “cuor di leone”, guarda l’orizzonte. Un marinaio gli rivela che l’isola su cui ha posato gli occhi è Tarth. Gli istanti di sospensione immediatamente successivi ci restituiscono la speranza che il percorso fatto finora non vada completamente perduto. La malinconia e lo struggimento che cogliamo nel suo silenzio assorto, infatti, ci rassicurano: gli autori non hanno dimenticato il legame speciale tra lo Sterminatore di re e la Vergine guerriera.
Con Bronn si chiarisce un altro punto cruciale: il perché del gesto che, nella scorsa recensione, in preda alla rabbia ho definito “idiota”.
“Devo essere io” ripete Jaime, come un ritornello. Ancora una volta a schiacciarlo è il senso di colpa: ha deluso l’amata sorella, provocato la morte del padre aiutando un fratello che non credeva capace di spingersi a tanto. Il percorso di Jaime, ormai, sembra essere un instancabile cammino di redenzione. L’uomo senza onore è quanto mai determinato a recuperarlo, per dimostrare agli altri ma soprattutto a se stesso di valere ancora qualcosa. La recitazione di Nikolaj Coster-Waldau è, come sempre, impeccabile: sobria e solenne, elegante e ricca di pathos. Il suo Jaime non è quello dei libri ma riesce a mantenerne quasi intatta l’essenza più profonda.
Ad Approdo del re, intanto, il Concilio ristretto si restringe sempre di più. “Not smaller enough” commenta la furente Cersei, ormai talmente accecata dal potere che sembra volerlo amministrare da sola. È ufficiale: gli autori, per esigenze di trama o forse perché credono in Lena Headey, scommettono tutto su Cersei. Stento a riconoscere la regina reggente dei romanzi, quella impulsiva e con intelligenza strategica pari a zero. Il dialogo con l’Alto Passero è interamente finalizzato a forgiare armi di distruzione di massa: dopo aver spedito a Braavos il manovrabile Lord Tyrell, manca un’ultima mossa per isolare l’odiata nuora. Fingendosi donna di fede ardente, Cersei concede poteri insperati alla religione. Armati i fanatici, in un colpo solo si libera di personaggi scomodi e responsabilità: non è lei la mandante degli arresti ma il Credo.
Ci sorprende vedere Cersei voltare le spalle persino a suo figlio; col suo tono è come se gli dicesse “Hai fatto la tua scelta: è Margaery la donna all’ombra della quale desideri vivere.” Il giovane re è troppo inesperto per vedere oltre parole e azioni: “Ma perché, tu e la mamma non andate d’accordo?” domanda candido, mettendo alla prova i nervi incrollabili della mogliettina. Margaery Tyrell, in questo episodio, è messa a dura prova: faceva male a ridere, convinta di aver messo a cuccia la Leonessa senza spargimenti di sangue. È la solita ammaliante manipolatrice ma, questa volta, è stretta in una morsa da cui sembra difficile liberarsi.
A mali estremi estremi rimedi: è il momento di ricorrere alla nonnina. Intanto,” l’arrivo dell’Inquisizione” mette a soqquadro Approdo del re. Gli autori non perdono occasione per parlare di omofobia nonostante Martin non la inserisca che come tenue sottofondo nei suoi romanzi. Scelta comprensibile, però, la loro, ancora una volta: funzionale all’attuazione del piano di Cersei e all’arresto di Ser Loras: eliminate le sottotrame della saga sarebbe stato difficile allontanarlo altrimenti. La contraddizione nella strategia di Cersei Lannister, però, balza agli occhi: tutto l’Ovest chiacchiera del suo amore incestuoso e dei suoi frutti marci. Una peccatrice può essere tanto folle da autorizzare la punizione dei peccati?
Ci spostiamo a Nord, alla Barriera, dove assistiamo a due scene molto intense: la prima coinvolge il neocomandante dei Guardiani della Notte e la Donna rossa, la seconda uno Stannis sempre più umano e sua figlia Shireen. Melisandre è una donna fatale, perfettamente in grado di ammaliare qualsiasi uomo, compreso il gelido Snow. Per qualche istante il seppur inespressivo Kit Harington ci illude di esser fatto di carne, come tutti gli altri, ma poi torna in sé, alla sua tempra morale. La sacerdotessa insiste sul dualismo vita-morte. Se il piacere, la guerra, il potere, rappresentano tutto ciò che è vivo e pulsante, la morte è impersonata dal solenne giuramento a un ordine vuoto e dall’amore per una donna scomparsa. Jon, però, non è del suo stesso avviso e, strenuamente, resiste. Le parole che Melisandre pronuncia sulla soglia sono un sonoro schiaffo al suo interlocutore e a tutti noi: “Tu non sai niente, Jon Snow.” E la Donna Rossa “spacca”, come sempre. Non vorremmo crederle ma puntualmente ci dimostra che del potere scorre nelle sue vene.
Stannis nelle vesti di padre amorevole intenerisce; rivolgiamo tutta la nostra antipatia alla moglie frustrata e fredda. Dietro i suoi modi ruvidi, invece, il re è capace di amare. Quel che spaventa è l’insistenza su Shireen compresa di allusioni a quanto la bambina sia utile al Signore della Luce. Che vorrà mai farne di lei il dio? Avviso gli spoilerofobi che questa non è un’anticipazione ma una preoccupazione.
Sempre a Nord, rivediamo le cripte di Grande Inverno e finalmente si parla di un personaggio chiave nella storia di Westeros anche se morto prima dell’inizio della saga. Lyanna Stark, sorella del compianto Ned, amore impossibile e mai dimenticato di re Robert Baratheon, regina di bellezza per Raeghar Targaryen. È Ditocorto a narrarne vicenda, con l’aria di chi la sa lunga: Sansa si limita a riportare ciò che ha sempre udito in merito ma lo sguardo del suo interlocutore ci lascia intuire che molto è ancora avvolto nel mistero.
Lord Bealish è in partenza: deve rispondere alla chiamata di Cersei. Sansa sta per essere lasciata al suo destino. Il suo personaggio è cresciuto talmente tanto che non solo è capace di accettare i colpi della fortuna ma è persino determinata a sovvertirla. Appare talmente distaccata e superiore da riuscire addirittura a ironizzare sulla sua sorte, strappando un sorriso di pura ammirazione al suo mentore: “Al tuo ritorno mi aspetto di essere una donna sposata.” Riuscirà la Stark a cui non avreste dato due lire a riprendersi il Nord? Io dico di sì: se alla straordinaria resilienza ha finalmente unito la combattività e una buona dose di incoraggiamenti alla frode da parte del Maestro burattinaio Ditocorto, credo sia diventata una delle donne più invincibili dei sette regni.
La scena si sposta nuovamente sugli avventurieri ormai approdati sulle spiagge di Dorne, che si dedicano a un discorso angosciante: “Come ti piacerebbe morire?”
Il fatto che Bronn si auguri di finire la sua vita in un letto a baldacchino mi ha fatto pensare immediatamente che la cattiveria degli autori potrebbe essere in procinto di infrangere i suoi sogni massacrandolo in battaglia. Per quanto riguarda Jaime, ancora una volta i suoi pensieri girano attorno all’amore: è tra le braccia della donna che ama che vorrebbe spegnersi. “E sei sicuro che lei voglia la stessa cosa?” gli chiede Bronn. “Siamo sicuri che sia “quella” donna?” ci chiediamo noi. Il fatto che lo Sterminatore di re scappi a gambe levate dal discorso può voler dire che no, non è affatto sicuro che Cersei vorrebbe la stessa cosa ma anche che no, non sa se sta parlando di lei o della soldatessa di Tarth, prospettiva che ancora lo terrorizza. La vaghezza da parte degli autori non può che essere voluta. Checché ne dicano alcuni fan, le donne di Jaime Lannister sono due e la faida tra loro non si è ancora risolta.
I discorsi filosofici sono interrotti da un agguato di Dorniani, diffidenti e inclini alla violenza. Bronn ne uccide tre; l’ultimo lo lascia a Jaime. Combattere con la mano sinistra è un’impresa titanica ma non tutti i mali vengono per nuocere: la mano d’oro è una risorsa importante e risolutiva… basta imparare a sfruttarla al meglio.
Se Jaime fa di tutto per non far scoppiare una guerra, dell’avviso opposto sono le Serpi delle sabbie che finalmente fanno la loro comparsa in questa stagione. Obara, Nymeria e Tyene fanno eco ad Ellaria nell’invocare vendetta: vogliono usare Myrcella per colpire Cersei, Jaime il loro unico ostacolo. L’ambiente è ostile e siamo pronti al peggio. Riusciranno i nostri eroi a non lasciarci la pelle?
Tyrion Lannister ha conquistato il mio amore incondizionato in una sola mossa: mentre strillava con il bavaglio in bocca ho riso forte, incantata dalla sua urgenza di esprimersi in ogni circostanza. Al Folletto si può togliere ogni cosa ma non l’arguzia, la lingua biforcuta, l’intelligenza straripante. Appena lasciato libero di parlare, infatti, Tyrion intuisce con precisione chi ha davanti e persino come finirà con Daenerys: a suo dire la regina perdonerà più facilmente un membro di casa Lannister che un consigliere traditore. Stanco di sentirsi spiattellare in faccia la verità, Jorah ricorre alle maniere forti. Non lo avevamo mai visto così burbero ma ne comprendiamo la demotivazione.
A Meereen ci tocca il commovente commiato da Barristam Selmy, da molti soprannominato ser Nonno. La morte è nell’aria sin dall’inizio: si sente nel dialogo con Daenerys e in particolare nel suo invito “Va’, ser Barristan, canta una canzone per me.” Ed è la sua ultima canzone. I figli dell’Arpia, con le inespressive maschere d’oro, tendono un agguato a un gruppo di Immacolati che evidentemente, a furia di umanizzarsi frequentando bordelli, hanno dimenticato ciò che avevano appreso durante il loro durissimo addestramento. Si fanno uccidere come mosche, eccezion fatta per Verme Grigio, e hanno bisogno di un valoroso anziano cavaliere dell’Ovest per pareggiare i conti. L’ultima battaglia di ser Barristan è combattuta con valore, il sottofondo è una colonna sonora in stile “Momenti di gloria” che sortisce l’effetto sperato: nonostante non nutrissi simpatia per il vecchio cavaliere e sperassi che potesse essere proprio lui il personaggio non ancora morto nei libri a morire nella serie, ho pianto disperata. Addio ser Nonno, hai combattuto con onore. La tua regina probabilmente ti rimpiazzerà presto ma ti ha voluto bene.
Il mio giudizio sull’episodio è molto positivo: personaggi sempre più affascinanti e maturi, buona gestione della trama e persino di quelli la cui bellezza credevo ormai perduta. Con timore e trepidazione, attendo la prossima puntata, sempre più intrigata dal singolare distacco della serie dai romanzi di riferimento.