Lord Tywin Lannister, morendo nella sua latrina, freddato dal figlio deforme, ha lasciato un regno sul punto di annegare nel caos e le sue creature sull’orlo di una crisi di nervi.
[su_note note_color=”#fff9a6″ radius=”6″ su-note-inner=”box-spoiler” ]Avvertiamo i lettori che la seguente recensione contiene spoiler sulla trama. Se non hai visto l’episodio o non vuoi rovinarti eventuali colpi di scena non continuare a leggere![/su_note]
La quinta stagione si apre con un incubo della regina reggente, sempre più furente e angosciata. Due ragazzine vagano per il bosco; una di loro è Nell Williams, che interpreta Cersei Lannister, l’altra è piena di paura e di ripensamenti. “Non devi temere mio padre” risponde Cersei all’ennesimo dubbio dell’amica. “Hai davanti una fiera ben più pericolosa” è ciò che leggiamo nei suoi occhi. L’ambientazione è fiabesca e dei topoi della fiaba non ne manca quasi nessuno: la casetta della strega nel bosco, il sangue, la profezia che annuncia l’arrivo di una donna più giovane e più bella. Poi, di colpo, il ritorno alla realtà.
Siamo al funerale di Lord Tywin, il punto di vista è ancora quello di Cersei. Partecipiamo al suo disgusto nei confronti di tutto ciò che è formalità, alla rabbia travolgente che reprime e che lascia esplodere solo in presenza dell’altra metà di se stessa: suo fratello Jaime.
Lo Sterminatore di re è ancora alla ricerca della sua dignità di personaggio, perduta alla fine della terza stagione e non ancora recuperata. Dal confronto con sua sorella vien fuori umiliato. I due poli della progenie Lannister – la primogenita e il Folletto – giganteggiano mentre lui se ne sta lì a veder svanito miseramente ogni tentativo di mediazione.
“Tyrion, almeno, ha ucciso nostro padre di proposito. Tu l’hai ammazzato per errore, per stupidità.” Le parole di Cersei bruciano, vere e definitive. Jaime abbassa lo sguardo: ha fallito, ancora.
Dall’altra parte del Mare Stretto, Tyrion guarda il mondo dal suo oblò. Varys gli fa da psicologo e consigliere: il Mezz’uomo non ha perso il senso dell’umorismo ma la sua tendenza all’autocommiserazione rischia di trasformarlo in un alcolizzato che vive di ricordi. L’eunuco, invece, ha ben altri piani per lui e, con nostra grande meraviglia, li rivela per filo e per segno: vuole un mondo prospero e senza guerre, governato da un re più forte di Tommen e più gentile di Stannis, qualcuno che sappia imporsi ma anche ispirare le masse.
“Hai davanti una scelta: puoi restare qui a bere fino alla morte o viaggiare con me fino a Meereen, incontrare Daenerys Targaryen e decidere se valga ancora la pena di lottare per il mondo.”
E se qualcuno aveva pensato anche solo per un attimo che Tyrion stesse per arrendersi, verrà subito smentito: “Posso bere fino alla morte mentre andiamo a Meereen?”
Chi sembra aver perso davvero le speranze, invece, è Brienne di Tarth, il cavaliere errante condannato a un’interminabile inutile ricerca. A niente valgono gli incoraggiamenti del dolce Pod: Arya ha rifiutato la sua protezione, Renly e Catelyn sono morti e la soldatessa sente che sta per deludere anche il suo Jaime. Proprio mentre assume una posa drammatica e ogni spettatore si sente invadere dall’umana compassione nei suoi confronti, però, gli autori le sferrano un altro colpo di pura cattiveria: una carovana passa di lì per caso… e chi può esserci nel carro se non la ragazza che la povera Brienne sta cercando in ogni dove?
Sansa Stark fa due apparizioni in questo episodio, sempre accompagnata dal suo infido protettore Petyr Bealish. Vestita con abiti scuri, scuri anche i capelli, è bellissima nella sua nuova dignità. Sempre austera, adesso anche furba, ci dà quasi l’impressione di avere più potere lei sul suo mentore che il contrario. Ditocorto, intanto, dà delle indicazioni ben poco enigmatiche, nonostante il tono, su quale sia la destinazione del viaggio.
Ad Approdo del re le sorprese non sono ancora finite: una nostra vecchia conoscenza, Lancel Lannister, fa ritorno con una tunica addosso e i capelli rasati. Si è convertito e vuole convertire. La cinica Cersei gli ride in faccia mostrando di sottovalutare il potere del fanatismo religioso. Nell’aria aleggia il presagio che la sua ybris sarà presto punita. A confermare i nostri sospetti è il dialogo tra i fratelli Tyrell:
– Perhaps.
– Perhaps?
– Perhaps.
La bella Margaery non sembra troppo preoccupata della presenza di Cersei nella capitale: i suoi “forse” ci lasciano intuire che abbia un piano per liberarsene. La profezia della strega dagli occhi scialbi sta davvero per avverarsi?
A Meereen si respira la solita aria da soap opera: l’amore tra Missandei e Verme Grigio procede patetico. Un Immacolato è stato appena sgozzato mentre si faceva cantare la ninna nanna da una prostituta e Missandei, con tatto ammirevole, non riesce a resistere e domanda al suo uomo: “Ehm, posso chiederti che ci va a fare un Immacolato in un bordello?” Verme Grigio, imbarazzato, preferisce far finta di non aver sentito.
Daenerys e Jon Snow, gli ultimi protagonisti a fare la loro comparsa, rendono evidente quanto i personaggi siano cresciuti e maturati dopo tutte le esperienze vissute. Daenerys è colta nei suoi drammi di madre e di regina. Con la chioma in disordine e lo sguardo da bambina, ci ricorda la ragazza della prima stagione, quella che non si era ancora irrigidita nel suo ruolo e che dava spazio a sentimenti e tormenti interiori. È Daario a fare il miracolo, un uomo che finalmente si mostra capace non solo di strizzare l’occhio o calarsi le brache ma anche di dare buoni consigli: il popolo di Meereen reclama il rispetto delle proprie tradizioni ma Daenerys non riesce ad andare oltre le barriere della sua ideologia. Daario, però, la aiuta a mettersi in discussione fornendole la prova di come anche qualcosa che lei non riesce a comprendere possa essere prezioso per qualcun altro.
Dopo la chiacchierata ristoratrice la regina trova finalmente il coraggio di affrontare il problema che le sta più a cuore: i suoi pargoli. Dovrà fare i conti con le conseguenze della loro ferocia acuita dalla cattività. L’ultima immagine di Daenerys è quella di una donna disperata, finalmente umana dopo una stagione in cui ci era apparsa troppo impostata e odiosa.
Jon Snow migliore in campo: l’esperienza “Into the Wildings” sembra avergli fatto proprio bene! Ora parla come una persona matura, non come il ragazzo che sognava di entrare nei Guardiani della Notte per fare l’eroe. Ha conosciuto la vita, la morte, l’amore, ed è capace di tenere testa a un re, anzi a due. Stannis Baratheon, da quando ha conquistato la Barriera, ha smesso le vesti di “fallito” per indossare quelle, finalmente credibili, del futuro re di Westeros. Anche Jon gli crede e forse pensa che sarebbe un sovrano migliore di altri ma questo non gli impedisce di mantenere la sua integrità senza abbandonarsi alle passioni più irrazionali:
– Non vorresti vendicare Robb?
– Io vorrei molte cose, maestà.
Il secondo re con cui Jon ha modo di confrontarsi è lo sconfitto re oltre la Barriera. Qui il ragazzo dà il meglio di sé: mentre cerca di convincere Mance a salvare se stesso e i suoi, mostra il suo disprezzo per tutto ciò che è vuota forma: l’orgoglio, la gloria e persino la fedeltà a un’ideologia. È la vita della gente l’unica cosa che conta davvero. Ma Mance è irremovibile: la vita dei suoi Bruti non sarebbe vita sotto le insegne di un re straniero, combattendo per una causa sconosciuta. Per non essersi inginocchiato andrà incontro alla più atroce delle morti: verrà bruciato dalla sacerdotessa rossa che, dopo cinque stagioni, ripete instancabile il suo folle rituale.
L’incontro con Jon, però, sembra destinato a infrangere l’equilibrio. Il giovane Corvo non ha paura di sfidare il Signore della Luce impedendo alle fiamme di finire Mance: scocca una freccia di pura e commovente compassione.
Un episodio di transizione, costruito per chiudere e aprire strade, per dare spiegazioni e introdurre nuovi interrogativi, ricco di spunti di riflessione e popolato da personaggi sempre più maturi e consapevoli da cui ci si aspettano, finalmente, cambiamenti significativi. Il mio giudizio è positivo, soprattutto per il rispetto delle intenzioni generali dell’autore, pur se con qualche comprensibile sacrificio e con alcune meno comprensibili aggiunte.
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