Dopo due settimane di pausa per le celebrazioni del Memorial Day, torna in USA con l’ottavo episodio la quarta stagione di Game of Thrones (Il Trono di Spade in Italia), la serie televisiva fantasy creata da David Benioff e D.B. Weiss, trasposizione del ciclo di romanzi de Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco (A song of Ice and Fire) di George R.R. Martin.
Alle più svariate critiche a The Mountain and the Viper ecco aggiungersi la mia. Dirò da subito che questo episodio mi è piaciuto: nonostante le incongruenze con la saga originale, con gli eventi narrati da Martin, tutto mantiene una certa coerenza. Ma andiamo per ordine.
[su_note note_color=”#fff9a6″ radius=”6″ su-note-inner=”box-spoiler” ]Avvertiamo i lettori che la seguente recensione contiene spoiler sulla trama. Se non hai visto l’episodio o non vuoi rovinarti eventuali colpi di scena non continuare a leggere![/su_note]
Entriamo nel bordello di Città della Talpa, dove una prostituta a noi già nota fa indovinare agli avventori motivi cantati con i rutti – a mio parere la cosa più interessante che avviene nei pressi della Barriera.
Lo spirito cameratesco è però ben presto interrotto dall’attacco dei Bruti. Con la loro ferocia uccidono chiunque si trovino davanti, senza eccezione. Non ci dispiace poi tanto quando la suddetta prostituta – grande nei rutti ma non certo in simpatia – finisce inchiodata ad un’asse di legno dalla lancia di Ygritte. Una Ygritte che non ha nulla da invidiare alla brutalità dei suoi compagni, se non per quanto riguarda l’eccezione: il piccolo Sam vagisce tra le braccia di Gilly, Ygritte li scopre, fa loro segno di tacere e se ne va, mentre il sangue goccia giù dalle fessure del piano di sopra.
Non ha molta logica che salvi proprio loro, se non per il fatto che, evidentemente, non avrebbero dovuto trovarsi lì – e che nel libro non ci si trovino.
Poco distante, nel Castello Nero, a Jon Snow e compagni non rimane che stare seduti a bere e piangersi addosso. Non è colpa loro: gli autori hanno deciso che la battaglia Corvi vs. Bruti debba avvenire nel nono episodio, così i Guardiani della Notte non possono far altro che restarsene a chiacchierare. Anche Snow lo ammette, sagacemente “They hit Mole’s Town… and we’re next”. Prendiamo – perdiamo – tempo.
Lasciamo il freddo, verso l’assolata Meereen. Verme Grigio – dall’abilità olimpionica nel nuoto (con lui e gli altri Immacolati sembra di mettersi a mollo in una piscinetta gonfiabile da giardino) – è rapito dalla visione di Missandei al bagno. Ella, pudica, si copre, e subito va a raccontarlo all’amichetta del cuore, la regina Daenerys, che, abituata al Khalasar, è stupita del pudore della sua ancella quasi quanto lo è del fatto che un Immacolato possa provare interesse per una donna.
Ora, saranno pure carini insieme… ma le Cronache non sono un romanzo rosa, o una fiction italiana, per cui persino del personaggio minore, di cui nulla sappiamo, l’unica cosa che importa è conoscere la situazione sentimentale.
Martin ci mostra i ritratti perfetti di un numero cospicuo di personaggi, i cosiddetti maggiori, di cui conosciamo le vicende attraverso il loro punto di vista, di cui conosciamo i pensieri. Che la serie vada a fingere di caratterizzare due minori, pensati come semplici satelliti della maggiore di turno (Daenerys Targaryen), mi lascia quantomeno perplessa – per mitigarmi. Affibbiando loro una relazione amorosa che ha, come unico scopo, quello di tenere gli spettatori più romantici inchiodati al televisore, gli autori hanno banalizzato tanto l’Immacolato quanto la devota ancella poliglotta. Qualcuno potrebbe avere l’impressione che a Verme Grigio sia stata donata una personalità ma si sbaglia: scavare nel suo profondo non avrebbe mai dato, in una saga onesta come le Cronache, un esito così banale. Tenere conto del suo dramma – l’atroce addestramento ricevuto – non vuol dire negarlo per far trionfare un vuoto sentimentalismo. Non è pedanteria nel far notare le differenze tra libri e serie TV, è esigere molto da una saga che molto ci sa (e ci può) dare.
Non stiamo guardando “Carabinieri”, con tutto il rispetto. Non trattateci da pubblico del “Non so che fare stasera e accendo la TV”!
Intanto a Ser Barristan è consegnato l’atto di assoluzione reale di Jorah Mormont, firmato da Robert Baratheon. Daenerys deve fare i conti con il tradimento del suo devoto, un tradimento ormai remoto, ma pur sempre tale. È da molto che Jorah ha rotto il suo legame con il ragno tessitore, ma questo non sembra aver valore. Dany allontana Mormont. L’interpretazione di Emilia Clarke mi sembra sfiorare il ridicolo, con una solennità inadatta alla situazione.
Alle porte del Moat Cailin ritroviamo una delle coppie più affiatate in questo momento: vittima e carnefice, Reek e Ramsay. Come negli scorsi episodi, la fedeltà ai libri è pressoché totale, la recitazione di Allen perfetta. Ramsay provoca “Are you sure? You look very much like a lord… formidable, proud…” un Theon ormai scomparso “I’m Reek”, e continua “’till when?”, “Always… forever”. Per concludere con un consiglio beffardo “Remember what you are and what you’re not”, prima di mandarlo a trattare con gli abitanti del castello, proponendo loro di lasciarli in vita in cambio della resa.
La trattativa si conclude felicemente: gli arresi vengono scuoiati. Ramsay Snow sta cercando in tutti i modi di farsi ben volere dal padre, conquistando territori e portando avanti le tradizioni di famiglia, non mettendo un piede in fallo.
Alla consegna di Moat Cailin al padre, egli lo ricompensa con il suo cognome: “Ramsay Bolton, figlio di R
oose Bolton, protettore del Nord”. O il bastardo ha agito veramente bene, o Roose Bolton s’è accorto che i capelli bianchi stanno aumentando.
Anzitutto rivela di essere Sansa Stark ai Lord della Valle (!), poi racconta di come Petyr Baelish è stato sempre l’unico ad aver cura di lei dopo la morte del padre, a sottrarla alla vita cui era costretta ad Approdo del Re, di come la zia Lysa per queste attenzioni e per un bacio sulla guancia era diventata gelosa di lei, fino a volersi togliere la vita gettandosi dalla Porta della Luna, cosa che Baelish fino all’ultimo aveva cercato di impedirle. Tra omettere la verità e dire una menzogna il confine è labile, in ogni caso si è responsabili di non aver perseguito la giustizia.
Per Sansa ora, come dice anche lei, il giusto è pensare a se stessa, a restare in vita, a garantirsi un futuro. E sta iniziando ad accorgersi di come può farlo, anche giocando con la propria femminilità, cui Ditocorto non rimane punto indifferente.
Arriva a Nido dell’Aquila anche il duo Arya & Mastino. Ad accoglierli la notizia della recente morte di Lysa Arryn, accolta con delusione da Clegane, e con una sonora risata dalla Stark – sì, anche Arya è stata presentata per nome e cognome, ma nessuno è sembrato accorgersene.
Arriviamo nella cella di Tyrion, ad Approdo del Re, in uno dei tanti dialoghi tra i Kingslayer Bros. Interessante il racconto riguardante Orson Lannister, un loro cugino che, avendo perso gran parte delle proprie capacità intellettive cadendo di testa per terra, trascorreva le proprie giornate seduto in giardino schiacciando scarafaggi con un sasso “Kuuh kuuh kuuh”. Tyrion chiede a Jaime perché il cugino facesse questo, ogni giorno. Ma Jaime dopo un po’ aveva incominciato a non badarci più, aveva altri interessi, mentre solo il mezzo uomo aveva continuato ad osservare questo lento e costante genocidio, sicuro di leggere negli occhi di Orson che c’era un motivo, ma senza mai riuscire a comprendere quale.
Si sta per decidere se schiacciarlo o no. A cosa assistiamo, nel finale che tanti stomaci deboli a fatto rivoltare sui divani del mondo, se non ad un ultimo, clamoroso “kuuh kuuh kuuh”?
Le morti, in Martin, hanno sempre un senso, e quella di Oberyn tra le mani della Montagna non è stata altro che la morte della Giustizia, sfracellata dall’Ingiustizia.
Certo, tutti gli spettatori saranno stati lì a ripetere nella mente allontanati Oberyn, non scherzare col fuoco, non peccare di hybris, va bene che hai bevuto ma cerca di essere ragionevole. Ma non c’è ragione nella Vipera, assetata di vendetta “You raped her, you murdered her, you killed her children”. La vendetta non sempre paga il suo debito.
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