Anche questa settimana è andato in onda un nuovo episodio della quarta stagione di Game of Thrones (Il Trono di Spade in Italia), la serie televisiva fantasy creata da David Benioff e D.B. Weiss, trasposizione del ciclo di romanzi de Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco (A song of Ice and Fire) di George R.R. Martin, prima della pausa di una settimana per le celebrazioni del Memorial Day.
Ero certa che le puntate di raccordo fossero finite, che l’intensità degli episodi sarebbe cresciuta fino a raggiungere il culmine con l’evento cruciale della stagione (perché di sicuro anche ‘sta volta ce ne sarà uno!) ma… avevo ragione solo in parte. Mockingbird non è stato propriamente un episodio di raccordo: eventi da mozzare il fiato non sono mancati. Si sono alternati, però, a momenti di stasi e che, purtroppo per chi non sopporta la mia acidità corrosiva, mi hanno fatto arricciare il naso.
[su_note note_color=”#fff9a6″ radius=”6″ su-note-inner=”box-spoiler” ]Avvertiamo i lettori che la seguente recensione contiene spoiler sulla trama. Se non hai visto l’episodio o non vuoi rovinarti eventuali colpi di scena non continuare a leggere![/su_note]
Ancor prima che si compongano le immagini sentiamo la voce di Jaime Lannister: si trova con Tyrion, nella sua cella, e lo rimprovera per aver buttato all’aria il suo (timido) tentativo di salvargli la pelle. Un dialogo, quello tra i “kingslayer brothers”, che non mi ha convinta. Mi è parso che il mio fratello prediletto, quello alto e incestuoso, ci abbia fatto un po’ la figura del codardo.
Tanto per fare la lettrice boriosa, voglio ricordare che nei romanzi Jaime non si schiera. Ovviamente questo è possibile perché ne conosciamo i pensieri e sappiamo, anche se non prende pubblicamente posizione, da che parte sta. Era necessario che nella serie ci venisse mostrato con le azioni cosa Jaime pensasse. Il problema è che questo attivarsi tanto e poi tirarsi indietro proprio quando Tyrion ha più bisogno di lui non mi è parso coerente con il personaggio. Jaime non si risparmia quando decide di aiutare chi ama. Sono certa, comunque, che avrà modo di riscattarsi anche da questa piccolissima caduta di stile.
Mi è piaciuto molto, invece, ascoltare Tyrion che sputava fuori tutta la sua sindrome da figlio meno amato. “Quanto sono umani questi Lannister!” ho pensato: con i loro drammi così simili ai nostri e per questo veri, quasi tangibili.
Ma la domanda che attraversa l’episodio riguarda il processo per singolar tenzone che il Folletto, per follia o lucidità estrema, ha invocato alla fine del suo intenso processo. Chi saranno i campioni che decideranno il suo destino?
Il primo un gigante mostruoso, uno di quelli che non danno peso alle pugnalate nel cuore, che le dispensano come fossero strette di mano. È Gregor Clegane, la Montagna che cavalca. E Cersei non poteva scegliere di meglio… forse.
Scegliere uno sfidante per cotanto guerriero non è impresa facile. Dopo aver fallito con Jaime, Tyrion prova con chi ha saputo difenderlo in passato, a Nido dell’Aquila. Un altro dialogo, questa volta con Ser Bronn delle Acque Nere. Uno scambio di battute dolce, commovente, nonostante l’esito negativo. Bronn è onesto e integro come lo abbiamo conosciuto: il suo vessillo è l’utile – è un mercenario – e non ha cambiato bandiera. Il rispetto tra lui e Tyrion si unisce alla stima reciproca e a quell’inevitabile affetto che prolunga la stretta di mano d’addio tra i due fino a farci emozionare.
Quasi tutti gli incontri hanno il sapore del riempitivo: Daenerys, sempre più regina, ci dà quasi l’impressione di aver eletto Daario suo uomo-oggetto. Gli ingiunge di spogliarsi senza scomporsi: ci appare superiore, persino poco coinvolta. Dal dialogo con il devoto Ser Jorah, alle prime luci dell’alba, però, capiamo che quell’incontro non l’ha lasciata indifferente. Ha deciso di fidarsi del mercenario e di affidargli il compito di trucidare i padroni di Yunkai.
Ancora una volta uno dei saggi cavalieri al suo seguito la fa ragionare: non è con la prepotenza che si ottengono consensi e che si governa giustamente un regno. E ancora una volta, per fortuna, la madre dei draghi ragiona e torna sulle sue posizioni.
Arya e il Mastino gironzolano per i boschi da tempo immemore, sembrano incapaci di progressi. Il loro rapporto pare ora crescere ed ora regredire. Questa è una delle puntate dell’avvicinamento. Anzi, di più: questa volta i due sembrano essere diventati proprio amici: lui che le racconta di come suo fratello gli ha procurato la faccia che lo ha reso celebre e il trauma che lo ha fatto scappare da Approdo del re, lei che si offre di curargli una brutta ferita. Finalmente avrà capito che ha di fronte un uomo buono e sofferente e la smetterà di cercare di infilzarlo? Sperare che lo cancelli dalla lista è davvero troppo, vero? Temo di sì.
Brienne e Pod, sulla loro strada verso il nulla, fanno un incontro singolare: Frittella… che non ha ancora imparato che Grande Inverno si chiama Winterfell e non Winterhell ma si è perfezionato nell’arte dell’impastare lupi. Non riusciamo a capire se, tra i due compagni di viaggio, sia più furbo il giovane scudiero, che consiglia a Brienne di non spifferare ai quattro venti il nome di una ricercata (Sansa Stark), o la Lady che, per pura fortuna, ha l’intuizione di rivelarlo alla persona giusta: il cuoco che ha conosciuto sua sorella e che li mette sulla retta via.
Avvolta da vapori incandescenti, si gode il suo bagno caldo una gasatissima Melisandre. Ansiosa di partire verso nuove missioni suggerite dalle fiamme, mette a disagio con la sua avvenenza la grottescamente devota moglie del suo re. La donna è così seria che tocca alla sacerdotessa rossa fare del maldestro umorismo. Per un attimo rapita dalle fattezze della sua “rivale” in amore, Lady Selyse sembra chiedersi, come una donna qualunque, “Cos’ha lei che non ho io?”
Ma Selyse è una donna di fede e subito provvede a ringraziare R’hllor per averle donato una così meravigliosa sostituta.
La parte più interessante del loro dialogo, in quanto pregna di sospetti sviluppi futuri, riguarda la piccola Shireen: pare che il Signore della Luce abbia dei progetti per lei. Noi, che siamo catturati dalla sua sensibilità, non possiamo che gioirne, sperando non sia un’arma a doppio taglio come tutte le profezie.
Uno dopo l’altro, a lasciarci l’amaro in bocca per le due settimane di pausa che ci attendono, arrivano i due momenti cruciali della puntata: l’autoproclamazione del campione di Tyrion e il lancio della zia.
Il Folletto è ormai disperato: si immagina morire grottescamente schiacciato dalla Montagna, la sua antitesi, finché non giunge, a rompere la monotonia dei suoi pensieri, una visita inaspettata: Oberyn Martell, la Vipera Rossa.
Avevamo quasi dimenticato che fosse venuto ad Approdo del re per vendicarsi: ci sembrava si fosse ambientato. Ormai gran conoscitore dei bordelli della città, parte del consiglio, addirittura giudice in un processo per regicidio. Invece no: finalmente il principe parla sul serio, niente più battute a sfondo sessuale. Il racconto è da brividi ed è metafora efficace di quanto talvolta siamo dei mostri per chi ci è più vicino, e dunque, di riflesso, anche per noi stessi, mentre appariamo del tutto inoffensivi, ordinari, agli estranei.
Io e mia sorella rimanemmo molto delusi: eri solo un bambino.
Piangiamo con Tyrion, piangiamo con Peter per le ingiustizie subite da un uomo buono colpevole soltanto di essere diverso. E la scena tocca un picco di solennità quando Oberyn prende la fiaccola e annuncia: “Sarò il tuo campione.”
Un senso di giustizia finalmente ci attraversa: qualcuno lotterà contro i prepotenti. A prescindere da come andrà lo scontro, sappiamo che il più debole non rimarrà indifeso e questo ci basta.
Sansa ha l’occasione di ripagare il “malcapitato” di tutte le violenze subite, di trasformarsi da passiva in attiva, e lo fa con un sonoro schiaffo. Immediatamente si rende conto di aver agito senza riflettere. In altri tempi avrebbe pagato caramente l’errore ma qui ha un protettore.
Il viscido Ditocorto prova ad ingraziarsela raccontando di aver ucciso il re per vendicare sua madre ed elogiando la sua straordinaria bellezza. Evidentemente, come sempre, riesce nel suo intento: il bacio senza pathos che le impone non riceve risposta ma neppure una vera opposizione.
È il momento dello scatenarsi della furia di zia Lysa: una donna malata d’amore e di gelosia, vissuta all’ombra di una sorella più amata di lei e morta dopo che tale superiorità le viene ribadita per l’ennesima volta. Io sono tra quelli a cui Lysa ha fatto pena: dare amore senza riserve e ricevere in cambio una spinta nel vuoto è crudele di una crudeltà senza scrupoli. Il ritratto di Ditocorto si fa sempre più nero e ci fa paura immaginare Sansa sua protetta e prigioniera.
Non ci resta che pregare antichi e nuovi dei che giugno arrivi in fretta: lettori e non lettori sanno che ci aspettano gli episodi più sconvolgenti e non vedono l’ora di scoprire chi ci lascerà le penne questa volta e chi la scamperà, chi avrà ancora la possibilità di evolversi che strade prenderà.
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