Un’altra settimana è trascorsa e siamo di nuovo qui a parlare di Game of Thrones (Il Trono di Spade in Italia), la serie televisiva fantasy creata da David Benioff e D.B. Weiss, trasposizione del ciclo di romanzi de Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco (A song of Ice and Fire) di George R.R. Martin.
A scrivere per voi è una nuova me: non più la lettrice inacidita cui un confronto dall’esito estremamente prevedibile, quello tra libri e serie TV, calpestava puntualmente l’entusiasmo. Sono rinata spettatrice per godermi le emozioni che ogni puntata ha il potere di sprigionare e per raccontarle a voi.
[su_note note_color=”#fff9a6″ radius=”6″ su-note-inner=”box-spoiler” ]Avvertiamo i lettori che la seguente recensione contiene spoiler sulla trama. Se non hai visto l’episodio o non vuoi rovinarti eventuali colpi di scena non continuare a leggere![/su_note]
Non rinuncerò completamente al paragone con i libri: non posso farlo. Game of Thrones non esisterebbe senza A Song of Ice and Fire. Non sarebbero mai esistiti Tyrion, Jaime, Jon, Daenerys, Davos e tutti gli altri se George R. R. Martin non li avesse inventati. La serie ha dato loro dei volti, alle parole suoni e all’immaginazione colori. Sono due mondi che si fondono e si completano, spesso raggiungendo picchi di maestosità. Pensiamo a “The Rains of Castamere”: nei romanzi avevamo un testo che sullo schermo si è fatto musica, ha conosciuto un nuovo linguaggio e un nuovo modo di arrivare a noi.
A volte, però, l’incontro tra i due universi genera note stonate. Io sono certa che anche chi non conosce i libri avverta, in quei casi, la mancanza di armonia. Ciò che mi propongo di fare è dar voce ai loro sospetti, fornire delle chiavi di lettura, illuminare là dove una fusione mal riuscita ha creato confusione.
Fatta questa lunga premessa, veniamo a noi.
L’episodio si apre con una coppia improbabile: Verme Grigio, comandante degli Immacolati, e Missandei, delicata e sapiente ancella di Daenerys. Improbabile perché gli Immacolati ci sono stati presentati come esseri che hanno perso ogni traccia di umanità, oltre che la virilità. L’intenzione degli autori non è quella di dimenticare questo “piccolo” particolare: sembra essere, invece, quella di superarlo.
Verme Grigio ripete a Missandei ciò cui è stato addestrato come un mantra: “solo un Immacolato, sempre un Immacolato, non ricordo altro che questo”, ma la giovane poliglotta non vuole crederci: sa che l’uomo che ha di fronte non ha affatto dimenticato i sentimenti.
Il messaggio è chiaro: non si può imporre la libertà con la forza, solo chi è prigioniero può liberarsi. Tutto molto bello, tutto molto nobile, eppure la bella Targaryen stanca. Non solo è ripetitiva ma sempre più fastidiosamente sicura di sé. Ci piaceva quando era una bambina tormentata e la sua regalità si manifestava attraverso emozionanti intuizioni. Ormai è come se fosse accecata dal proprio obiettivo, la lotta alla schiavitù, e non veda più le sfumature. È un po’ il destino di tutti i personaggi “positivi” della saga: inseguire ossessivamente un’idea, per quanto essa possa essere nobile, si rivela quasi sempre limitante.
A mio parere si tratta di una non troppo nascosta critica all’idealismo, resa ancor più evidente dall’attribuire alla regina atteggiamenti come la scelta della “giustizia” in luogo della misericordia.
Abbandonate le ambientazioni quasi bibliche delle città orientali, veniamo catapultati direttamente nella capitale, dove Bronn delle Acque Nere è alle prese con il suo allievo d’eccezione: Ser Jaime Lannister. Il loro è uno scambio di battute divertente, in linea con lo stile inconfondibile del mercenario, ma anche molto interessante. Si parla di Tyrion: suo fratello non è ancora andato a fargli visita e c’è bisogno che qualcuno lo scuota perché si decida. Ci pensa Bronn che gli racconta di quando, a Nido dell’Aquila, Tyrion aveva chiesto Jaime come suo campione, sicuro che suo fratello avrebbe viaggiato giorno e notte pur di andare a salvarlo.
La serie non aveva mai trovato il tempo di soffermarsi sul legame tra Tyrion e Jaime, necessariamente destinato a passare sotto i riflettori in un momento come questo, con Tyrion in prigione accusato di regicidio. Questa puntata ha colmato quel vuoto offrendoci prima il punto di vista di Tyrion, per bocca di Bronn, e poi quello di Jaime.
La visita alla cella è una fusione di ironia e tenerezza: prima l’esilarante battuta di Tyrion sui “kingslayer brothers”, poi la dichiarazione di fedeltà da parte di Jaime. Alla domanda di Tyrion “Mi stai davvero chiedendo se ho ucciso tuo figlio?” Jaime risponde “E tu mi stai davvero chiedendo se ucciderei mio fratello?”.
Finalmente, dopo un lungo percorso di redenzione, capiamo da che parte sta Jaime Lannister e che si è definitivamente distaccato dalla sorella, la cui volontà sembrava proprio si confondesse con la sua quando li abbiamo conosciuti.
Oltre che se stesso, Tyrion si ritrova a difendere anche la sua giovane moglie, Sansa Stark. “Non è un assassina” dice “o, almeno, non ancora.” È una suggestione che non sottovaluterei, specie per la brusca evoluzione che ha stravolto la vicenda della ragazza: prigioniera ad Approdo del re per tre stagioni, è ora in viaggio verso l’ignoto. Certo, Ditocorto le ha indicato la meta da raggiungere ma non cosa l’aspetta una volta giunti.
Non soltanto la sua storia sembra essersi evoluta, ma anche la sua personalità: ci imbattiamo in una Sansa improvvisamente loquace, schietta, che non ha paura di insultare il suo protettore/carceriere né di fare ipotesi sulle sue cospirazioni. La risposta di Lord Petyr alle insinuazioni della ragazza ne rivela la grandezza, ovviamente nel “male”. Confessa di aver fatto uccidere Joffrey senza un movente, se non la scomodità di un alleato come lui e la voglia di confondere gli avversari con azioni insospettabili. “Cosa vuoi?” gli chiede Sansa, confusa dalle sue macchinose strategie. “Tutto” è la risposta sconvolgente e rivelatrice.
Se qualcuno aveva creduto finora che Ditocorto fosse un “minore” spalanchi gli occhi davanti al più ingordo e spietato dei personaggi.
Per agire a distanza, l’infido Lord di Harrenhal doveva poter contare su qualcuno presente in loco. Il nome dell’esecutore del regicidio non ci viene rivelato ma ci vengono forniti segnali inconfondibili. Lady Olenna Tyrell è in procinto di abbandonare la capitale ma decide di lasciare, a sua nipote e a noi, la sua ultima preziosa lezione di vita. È una lezione di femminilità e, in particolare, su quanto infallibili possano essere le armi femminili se ben usate.
Ciò che differenzia Margaery da Cersei è che la seconda è persuasa che, per combattere, si debba essere necessariamente uomini. Maledice di continuo, infatti, l’essere nata donna e assume spesso comportamenti maschili. Margaery, invece, sa che l’essere donna apre un inesauribile ventaglio di risorse e non rinuncia a nessuna di esse.
Brusco cambio di ambientazione: alla Barriera ci attende il Corvo più acclamato dai suoi confratelli. Jon Snow ha i tratti del tipico protagonista: perseguitato ingiustamente dai “cattivi”, gli basta far leva sui buoni sentimenti e sul senso di giustizia presenti in fondo al cuore della maggior parte degli uomini per ottenere consensi. Tutto questo insistere su quanto sia amato dagli altri Corvi ha finito per far scappare di bocca a uno di loro uno spoiler bello grosso… che non ripeterò.
Ad annunciarla ormai è un calice di vino. Cersei. La regina reggente è giustamente sconvolta dalla morte del suo primogenito e follemente ossessionata dalla presunta colpevolezza di Tyrion. Siamo testimoni dell’ennesimo scontro tra i gemelli Lannister. Il primo tra i due a rimarcare il distacco, questa volta, è Jaime, che apostrofa la sorella con un troppo formale “Your Grace”. Cersei è ormai pienamente consapevole di averlo perso, di essere sola, ma tenta un’ultima volta di convincerlo a liberarsi di Tyrion e di Sansa. Lo implora di trovarla e di riportargliela morta. Il silenzio di Jaime è eloquente: non la accontenterà.
Ad un certo punto del battibecco sembra quasi che Cersei decida di offendere Brienne – chiamandola “grossa vacca” – per ferire Jaime. Dall’espressione sul volto di lui sembra proprio ci riesca e da quel momento ha inizio la tensione romantica tra lo Sterminatore di re e la Vergine di Tarth, che culminerà nella scena che dà il titolo all’intero episodio: la consegna di Oathkeeper, Giuramento.
Prima di giungere ad essa, ci tocca accompagnare la bella Margaery Tyrell nella sua visita notturna al futuro re Tommen Baratheon. Una scena deliziosa, specialmente se si immagina la furia di Cersei se sapesse che combina la sua due volte nuora. Niente di scabroso, si intende, ma la dolce Lady sa come conquistare un uomo. Ci era riuscita con Joffrey e non può di certo fallire con il suo fratellino buono. “È il nostro piccolo segreto” gli sussurra prima di sparire lasciandolo estasiato.
Ed eccoci finalmente alla scena più ricca di pathos dell’intera puntata: Jaime e Brienne, seri come non li abbiamo mai visti, si preparano a dirsi addio. Jaime ha per lei un dono e una missione: la spada riforgiata da quella di Ned Stark per proteggere la figlia del compianto Lord. Brienne è commossa, tanto da non trattenere le lacrime, e assicura a Jaime che troverà Sansa e la proteggerà per Lady Catelyn…”and for you.”
La sua è una piccola adorabile parentesi. Allontanatosi con Bronn, i due restano di nuovo soli. Il loro è un saluto in cui la componente romantica è molto forte, cosa che probabilmente avrà infastidito qualcuno perché, come ho detto altre volte, i libri sono molto più sobri da questo punto di vista.
Ho amato molto questo momento: le lacrime di lei, lo sguardo perso e malinconico di lui. C’è stato un momento in cui, addirittura, sembrava che Jaime stesse per correre da Brienne per fermarla e urlare, come nelle commedie d’amore “Non puoi partire: la tua vita è qui con me!” Okay, forse sarebbe stata una licenza un tantino esagerata, ma sono certa che in molti avrebbero apprezzato.
A parte la mia dichiarata simpatia per questa coppia, non trovo offensivo il romanticismo di cui è stata infarcita semplicemente perché li trovo molto romantici anche nei libri. Mi rendo conto che un’affermazione del genere andrebbe approfondita ma non posso dilungarmi oltre.
L’ultima parte della puntata è a Nord. Ritroviamo Jon che cerca di far rinsavire un Sam isterico per aver lasciato Gilly in un luogo poco raccomandabile. Al Castello Nero gli autori si sono presi un paio di libertà rispetto alla trama: la prima è la presenza di Locke, inviato lì da Lord Bolton a cercare Bran e Rickon, la seconda è la spedizione contro i ribelli che uccisero Craster e il compianto comandante Mormont.
Una volta che si è parlato di loro, perché non farceli vedere? E così ecco un bel branco di manigoldi dissacranti e violenti, capeggiati da un essere viscido che ha ripetuto il suo nome parecchie volte senza riuscire ad imprimerlo nella mia mente. Ma in quest’ambientazione improbabile avvengono una serie di follie.
Bran si fa catturare, con tanto di amici Reed e Hodor, e l’ultimo figlio di Craster finisce nelle mani di divinità/mostri che erano rimasti finora sullo sfondo e che, d’improvviso, senza che neppure i lettori potessero sospettarlo, ci conducono nella loro dimora di ghiaccio, al cospetto del loro capo.
Si tratta, dunque, di una vera e propria civiltà con le sue regole e i suoi rituali. La curiosità su cosa aspettarci da loro cresce anche se nella realizzazione risultano ancora molto poco convincenti.
Il mio giudizio sull’episodio è nel complesso positivo: emozionante, scorrevole, ricco di spunti di riflessione. Nonostante il divario, a volte netto, dai libri, credo che l’essenza dei personaggi principali sia stata rispettata.
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