Dopo una lunghissima attesa, la scorsa domenica è andato in onda il primo episodio della quarta stagione di Game of Thrones (Il Trono di Spade in Italia), la serie televisiva fantasy creata da David Benioff e D.B. Weiss, trasposizione del ciclo di romanzi de Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco (A song of Ice and Fire) di George R.R. Martin.
La premiere, dal titolo “Two Swords” ha battuto ogni record di ascolto per la serie, registrando negli Stati Uniti 6.6 milioni di telespettatori (8.2 se si considerano anche le repliche), e mandando addirittura in crash i server di HBO Go.
Vi ricordo che la puntata andrà in onda in Italia questa sera su Sky Atlantic (canale 110 di Sky), in lingua originale con sottotitoli in italiano. La versione doppiata nella nostra lingua arriverà invece, sempre su Sky Atlantic, il 18 aprile.
[su_note note_color=”#fff9a6″ radius=”6″ su-note-inner=”box-spoiler” ]Avvertiamo i lettori che la seguente recensione contiene spoiler sulla trama. Se non hai visto l’episodio o non vuoi rovinarti eventuali colpi di scena non continuare a leggere![/su_note]
“And who are you, the proud lord said,
that I must bow so low?
Only a cat of a different coat,
that’s all the truth I know.
In a coat of gold or a coat of red,
a lion still has claws,
And mine are long and sharp, my lord,
as long and sharp as yours.
And so he spoke, and so he spoke,
that lord of Castamere,
But now the rains weep o’er his hall,
with no one there to hear.
Yes now the rains weep o’er his hall,
and not a soul to hear.”
Ed è sulle note dell’inno dei Lannister, ipnotizzati dalla vista del fuoco che consuma i resti dei nostri ‘vecchi eroi’, che un abbagliante e soddisfattissimo Lord Tywin ci accompagna alle soglie della quarta stagione di Game of Thrones. Ci trafiggono gli stessi violini che fecero intuire a Catelyn quanto stava per accadere alla fine di quell’indimenticabile banchetto. Ci ricordano chi ha vinto, a chi dovremo inchinarci… e chi è stato schiacciato. Ghiaccio, la spada di Ned Stark, rinasce per finire nelle mani dello Sterminatore di re e una pelle di lupo viene scaraventata tra le fiamme mentre il fiero e invincibile Leone sorride.
Un inizio epico, di quelli che fanno accapponare la pelle, foriero delle più alte aspettative. Niente è lasciato al caso: dalla scelta della canzone di apertura al ghigno di Lord Tywin Lannister. Persino il più ingenuo, conoscendo Martin, deve aver pensato che “ride ben chi ride ultimo”.
Se qualcuno si aspettava che, dopo la sigla, la tensione non sarebbe calata, ne immagino la delusione. Veniamo catapultati in una Approdo del re calma come un paesino di montagna: di quelli dove non succede mai niente e si litiga per noia. Questo lo spessore delle discussioni di cui è protagonista un Jaime Lannister dal quale volevo decisamente di più. Allo scambio di battute con suo padre era affidato il dramma della ribellione di un uomo finalmente consapevole di se stesso. Ma, invece che il ruggito di due personalità in contrasto, mi sono ritrovata ad ascoltare un pigro battibecco, conclusosi con il ripudio più ridicolo e meno convincente della storia dello spettacolo.
Per non parlare della lite da coniugi prossimi alle nozze d’oro tra ‘i gemelli dell’incesto‘ e della chiacchierata tra Jaime e Brienne come se fossero migliori amici di una vita!
Che fine ha fatto la scena intensa e dissacrante di lui che prende Cersei sull’altare della Madre? Si è davvero ridotta a un “No, caro, ti prego: ho mal di testa”? E l’intesa che si era creata tra lo Sterminatore di re e la Vergine di Tarth? Quella che aveva fatto sognare migliaia di fan, che aveva addolcito il cuore di un cinico spergiuro e fatto arrossire un’indistruttibile donna-soldato? È diventata un “Brienne, levati davanti ché già hanno rotto le scatole assai persone oggi”?
Maledico le sfasature cronologiche tra romanzi e serie tv, se i risultati sono questi! Se Jaime e Brienne fossero giunti nella capitale qualche settimana dopo, forse avremmo visto un po’ di pathos in più. Non escludo, tuttavia, che gli autori troveranno il modo di recuperare. Forse è solo colpa dell’ossessione che sembrano avere per un inizio in sordina e una risalita a partire dal quinto episodio (per culminare nel nono e ricadere nel decimo).
È andata un po’ meglio con la new entry: il dorniano dal sangue incandescente, Oberyn Martell. Molto efficace la presentazione de “la Vipera rossa” e della sua amante Ellaria Sand. Proprio così: una bastarda, come lei stessa tiene a ribadire in una delle sue prime battute. Dei due è messo in luce, immediatamente, l’essenziale: vengono da un paese lontano dove si possono fare tante cose che i cortigiani dabbene non si possono permettere e sono venuti per la vendetta. Per ordine dei Lannister, infatti, furono uccisi ben tre membri della famiglia Martell e Oberyn non sembra affatto incline al perdono. Il duetto Oberyn – Tyrion è giocato sulla differenza di statura. La piccolezza di quest’ultimo è in realtà un sentirsi sovrastato dalle intenzioni del proprio interlocutore, dalla sua determinazione… e – perché no? – dalla forza di un personaggio nuovo e pieno di energia, che offusca con la sua luce le nostre addormentatissime vecchie conoscenze.
E nella capitale della noia incontriamo anche la piccola regina del lutto: Sansa Stark in Lannister. Prigioniera di chi ha massacrato i suoi familiari, ha – come sempre – la reazione più umana possibile, checché ne dica chi l’ha presa in antipatia: si rifugia nella solitudine e nel silenzio. Arriva, però, qualcuno che infrange il suo isolamento e riesce addirittura a strapparle un sorriso: Ser Dontos, personaggio che avevo dato per spacciato (credevo non sarebbe mai stato riesumato, per ragioni di sintesi) e che si rivelerà molto più che un semplice cavaliere decaduto, depresso e dedito al vino. Ne approfitto per invitarvi a non farvi sfuggire mai nemmeno un particolare quando si tratta di GOT: la più minuscola e insignificante pietrolina nelle mani del più insospettabile dei personaggi potrebbe rivelarsi fatale!
Ma adesso basta: scappiamo da questa città fantasma: ho bisogno di cambiare aria!
Lanciamo uno sguardo agli antipodi, al ghiaccio e al fuoco… a Jon e a Daenerys.
Mi sono piacevolmente imbattuta in un Corvo più loquace: l’esperienza al di là della Barriera deve averlo mutato nel profondo. Come sempre, però, non ho apprezzato la trasposizione delle vicende al Castello Nero: troppo incentrate su Jon e poco attente alle dinamiche “di gruppo”.
Di Daenerys è stato mostrato il tratto saliente: i draghi, sua ‘croce e delizia’. Chi crede che in questa saga, per vincere, basti avere l’asso (o meglio tre assi) nella manica, è fuori strada. I draghi sono il pretesto per scavare nella mente della bella Khaleesi, per farne venir fuori l’ingenuità, l’avventatezza, la sfrenata fiducia nelle proprie potenzialità. Al Daario Naaris anonimo che è stato scelto devo ancora abituarmi, non mi esprimerò su di lui.
Prima di salutarvi, devo fare l’elogio di una delle coppie più riuscite della serie: la piccola ninja Arya Stark e il più tenero dei cani rabbiosi. Loro sì che tengono alta la tensione! Di inesattezze ce ne sono, e pure tante, ma è comunque molto piacevole vederli in azione. Hanno forse la funzione di riempirci di orgoglio: rappresentano la vendetta come opposizione al potere, a chi vince sempre. Certo, il timore è che Arya si lasci prendere un po’ troppo ma, d’altronde, Valar Morghulis!
Concludo con un giudizio incerto: ad aprire la stagione è stato un episodio dal gusto agrodolce. Ben studiato, ma deve pagare il prezzo delle infedeltà ai romanzi che si sono accumulate nel corso di ben tre serie. Un carico pesante da smaltire e che necessariamente influisce anche sulla resa dei personaggi e dei loro sentimenti.
A proposito di infedeltà: guardando la puntata, ho avuto un’intuizione su come gli autori potrebbero rigirarsi l’errore degli errori, la storia d’amore più inventata dei sette regni! Per ora taccio, però: so che siete spoilerofobi!