Anche io, come Tyrion Lannister, ho innegabilmente una certa predilezione per le “cose spezzate”. Di personaggi spezzati, nelle Cronache, ce ne sono tanti. A pensarci bene, sono stati spezzati tutti almeno una volta. Alcuni, però, sono meno interi di altri, con un qualche trauma o una qualche stortura che si portano dietro da anni o che hanno ricevuto come un dono presso la culla.
È su di loro che ho deciso di posare lo sguardo.
Tyrion Lannister: il Folletto, il nano, il frequentatore di bordelli, il mostro. È lui il principe degli emarginati. “Cosa vuol dire avere un metro e mezzo di statura ve lo rivelan gli occhi e le battute della gente” cantava Fabrizio De André raccontando la storia di “Un giudice” non troppo diverso dal nostro eroe.
E così Tyrion Lannister ha affilato le sue armi per affrontare un mondo che gli è sempre stato ostile. L’intelligenza, l’autoironia, il denaro della sua famiglia gli hanno permesso di prendersi le sue soddisfazioni: le carezze di una donna, l’amicizia di qualche personaggio comodo, a volte anche il rispetto. Ma ciò che avrebbe voluto più di ogni altra cosa e che lo avrebbe ripagato per ogni offesa ricevuta, per ogni sguardo di disprezzo, non ha mai potuto averlo: la stima di suo padre.
La rabbia e la frustrazione di Tyrion sono tutte in quel rifiuto, non nelle sue gambe corte o nella sua testa troppo grande. È il giudizio di Lord Tywin, la sua delusione, che vede riflessi negli occhi di chiunque lo guardi. E quasi sempre è per lui che agisce… anche quando ci sembra stia pensando a se stesso, alla salvezza del reame o a ciò che il buon senso gli suggerisce. Il motore immobile delle sue azioni è, più spesso di quanto sembri, il desiderio di quell’amore paterno che non ha mai ricevuto e non riceverà mai.
Non voglio dirvi se prima o poi si farà così forte da accettare di essere orfano di un padre in vita, non posso dirlo perché non so se quel tipo di forza esista, appartenga all’uomo. Posso dirvi che quel vuoto gli fa vuoto intorno, che Tyrion è uno dei personaggi più buoni e più soli dell’intera saga.
Devo prendere le distanze da come la serie ha travisato la sua relazione con Shae: Tyrion ha avuto pochi veri legami che in genere ha reciso lui stesso e tra questi non vi è quello con lei (o almeno non è così che Martin ha pensato il personaggio) . Non avere fiducia in se stesso, non conoscere la sensazione di essere amati, non crederla possibile, gli hanno fatto perdere Tysha, unico amore della sua vita (cui si accenna anche nel telefilm) e Jaime, unico familiare che gli voleva bene.
Arya Stark, Arya Faccia di cavallo, Arya Dappertutto, Arry, Donnola, Nan, Salty. Una con tutti questi nomi deve essere stata spezzata un’infinità di volte! Come tutti i diversi, la piccola Arya un po’ spezzata sembra ci sia nata.
Man mano che le vicende si evolvono, però, le due personalità diventano indipendenti e sempre più complesse. Forse l’autore era pienamente lucido anche in questo: se all’inizio ce le ha disegnate tanto semplici, era perché si trattava di bambine! La metamorfosi da tipo a personaggio, per le sorelle Stark, avviene in un momento ben preciso: quello in cui le loro vite si spezzano.
Arya, sulla sua strada, aveva già incontrato la derisione, gli sguardi di disprezzo della sua Septa che non faceva che elogiare sua sorella, ma non le era mai mancato l’amore. Quello dei suoi genitori, che sorridevano del suo desiderio di diventare una guerriera, quello dei suoi fratelli e soprattutto quello di Jon, che le fa dono della sua prima spada: Ago.
È quando questo amore viene a mancare, con la separazione dalla propria casa, dai suoi fratelli e da sua madre, ma soprattutto dopo la morte di suo padre, che Arya è costretta a cambiare. La sua fuga è costellata di episodi di violenza, di cui Arya è prima spettatrice, poi protagonista. È come se ad ogni passo le venisse tolto un pezzo di calore. Chi non muore, la abbandona lungo il cammino, come Gendry e Frittella, gli unici che somigliavano a degli amici per lei.
In Arya prevalgono rabbia e diffidenza, unite a una forza di resistenza che pare quasi disumana e che, forse, la ragazza paga proprio con la sua umanità. Il desiderio di vendetta diviene per lei un’ossessione, un pensiero dominante che la rende caparbia e a volte anche cieca. In questo non tradisce il proprio sangue: è da Stark sacrificare le persone in nome di un’idea.
Quante volte avrei voluto urlarle che il Mastino non meritava il suo odio, che avrebbe dovuto cancellarlo subito dalla sua lista nera! Ma lei niente, neanche dopo averlo conosciuto, dopo aver incontrato i suoi occhi da “cane bastonato” è disposta rivedere l’opinione che ha di lui. Eppure non c’erano troppe alternative per lei: una bambina testimone di tutto quel male sarebbe morta, impazzita o avrebbe perso il cuore. E Arya l’ha perso. E quel poco che le è rimasto si sta addestrando a sgretolarlo.
I personaggi positivi, a mio parere, sono il fallimento letterario di Martin: i più spenti, con meno colori. Arya, però, è diversa. A qualcuno non piace la “brutta fine” che ha fatto.
Io dico che l’autore l’ha salvata dalla monotonia in cui sono sprofondati gli eroi delle prime pagine, i campioni e le campionesse del Bene. Peggiorando ha conquistato spessore. Facendosi scavare dal dolore si è riempita di sfumature.
Theon Greyjoy, il Voltagabbana. Perché Theon è uno storpio, una cosa spezzata. Perché Theon è una vittima, soprattutto di se stesso ma anche degli eventi.
Ultimo figlio di Balon Greyjoy, erede di una famiglia piena di orgoglio e ambizione, perde tutti i fratelli durante una rivolta contro Grande Inverno e viene regalato come ostaggio alla famiglia Stark. Le cure che ha ricevuto sono state amorevoli: Ned Stark lo ha trattato QUASI come un figlio e Theon si è mostrato tutto fuorché riconoscente, prendendo il castello nel quale è cresciuto appena ne ha avuto l’occasione.
Io dico che le cose non sono andate proprio così, almeno non nei meandri più profondi dell’interiorità del ragazzo. Come sempre Martin non si accontenta del bianco e del nero: il colore che preferisce è il grigio e ce ne mostra ogni sfumatura perché il nostro giudizio sia completo… o perché ci asteniamo dal giudicare.
Theon, senza esserne colpevole, ha un sangue in cui scorre l’odio più profondo contro i Lord che hanno strappato la corona a suo padre e tolto la vita ai suoi fratelli. Theon ha nel sangue il poco rispetto per le donne: vorrebbe dominarle tutte, farle sue “mogli di sale”. La sua casa rifiuta persino di venerare gli Antichi Dei del Nord, rappresentati dalle malinconiche facce scolpite negli Alberi Cuore. Il suo cavallo si chiama Sorriso ed è proprio il sorriso a caratterizzare la giovane piovra… almeno finché si trova al sicuro in un mondo senza guerre.
Un sorriso che manca della serietà dei lupi, del rispetto per gli umili, per i condannati a morte. Gli uomini di Ferro non conoscono scrupoli nel dar morte ai propri nemici. Gli uomini di Ferro sono diversi dagli Stark ed era impensabile che un uomo di Ferro, anche se un bimbo che del ferro ancora non sapeva nulla ma se lo portava come eredità nelle vene, si sentisse a casa in mezzo a loro, potesse sentirsi ed essere completamente uno di loro.
Theon Greyjoy è cresciuto come un emarginato, in un ambiente che non poteva capire tante cose di lui e che lui stesso non riusciva sempre a comprendere. È cresciuto con il desiderio di ritrovare suo padre, di riabbracciarlo un giorno e urlagli: “Padre, sono il tuo unico figlio vivente, il tuo erede. Guarda che uomo sono diventato: puoi essere fiero di me.”
Eccitato dalla possibilità di realizzare il desiderio di ogni figlio, quello di compiacere il proprio genitore, propone a Robb di mandarlo a Pyke, a chiedere a Lord Balon di prestare la sua flotta imponente alla causa del Re del Nord. “Non può rifiutare: sono suo figlio” assicura. Ma il suo sorriso sicuro e fiducioso è destinato a tramutarsi in una smorfia di delusione e di dolore una volta giunto a destinazione.
Balon si vergogna di lui. Si vergogna di un figlio che, a suo dire, è diventato un disgustoso ibrido tra una piovra e un lupo, l’odiato lupo. Si vergogna al punto da preferire una donna, sua figlia e sorella di Theon, al comando della poderosa flotta delle Isole di Ferro.
L’autore ci mostra molti drammi simili a quelli di questo – a mio parere splendido – personaggio: quello di Tyrion, per esempio. E ci mostra come le reazioni possano differenziarsi in base alle diverse personalità. Tyrion è forte, intelligente, ha dei punti fermi, sentimenti e convinzioni ben saldi. Theon è più debole, probabilmente ancora troppo giovane, immaturo. Sicuramente molto più insicuro. La sua spavalderia per troppi anni ha poggiato sul nulla: l’erede di Pyke ha trascorso la vita vantandosi di una forza che non era ancora sua ma della famiglia che gli ha dato il nome e della quale ha solo un flebile ricordo. Ha ricevuto degli insegnamenti quasi con il timore di apprenderli, perché interiorizzarli sarebbe stato forse tradire suo padre. Si è formato nel dissidio interiore, nella confusione.
Dinanzi al rifiuto di Lord Balon, come avrebbe potuto guardarsi dentro e trovare qualcosa da controbattere o il coraggio di chiudersi la porta alle spalle e tornare da Robb se dentro di sé aveva il vuoto? E se aver voluto bene agli Stark lo avesse davvero trasformato in un mostro, se la verità su di lui e su come sarebbe stato giusto vivere e comportarsi fosse rimasta davvero su quegli scogli, come affermava con forza suo padre? D’altronde se era così deluso da lui qualche motivo doveva pur esserci, d’altronde cosa c’è di peggio per un figlio che deludere il proprio padre? E così Theon sceglie: cercare di riconquistarlo.
Da questo momento in poi la sua storia è un goffo rincorrersi di fallimenti. Il giovane si sforza in modo quasi ridicolo e penoso di riprendersi la propria dignità agli occhi del padre e di se stesso. La conquista di Grande Inverno non vuole essere nient’altro che la prova più lampante del suo presunto valore nonché attaccamento alle proprie radici. Ma tutto gli si rivolta irrimediabilmente contro e, quando il sadico bastardo di Roose Bolton lo riduce ad una larva scuoiata e gli toglie il nome ribattezzandolo Reek (che fa rima con weak, debole), è come se Martin volesse dirci: non ha tentato di affermarsi ed è finito annullato.
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