Ritorniamo a parlare di Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco (A song of Ice and Fire), il ciclo di romanzi di George R.R. Martin da cui la serie televisiva fantasy creata da David Benioff e D.B. Weiss è tratta.
Questa volta parliamo del “Valonqar” (parola che in Alto Valyriano significa “fratello minore”), la profezia che i lettori hanno scoperto in A Feast for Crows.
[su_note note_color=”#fff9a6″ radius=”6″ su-note-inner=”box-spoiler” ]Avvertiamo i lettori che il seguente testo contiene spoiler sulla trama. Se non hai letto i romanzi e se non vuoi rovinarti eventuali colpi di scena non continuare a leggere![/su_note]
Deianira è a casa che aspetta. Ha un marito che il fato ha destinato a una vita di fatiche e di gloria. Uno come Eracle, puoi soltanto aspettarlo mentre guardi fuori dalla finestra. E ricordi e speri. E sospiri. Deianira fa così. E ripensa a quando era giovane e non c’erano uomini e tutto era più semplice, senza turbamenti. Poi quel centauro, Nesso, aveva tentato di stuprarla. Il suo eroe l’aveva ammazzato, è vero, ma quella violenza sfiorata l’aveva violata per sempre. Non era più una bambina: era sporca, aveva paura.
Ma ecco che giunge Lica, scudiero di suo marito, con uno stuolo di prigionieri. Eracle è tornato, l’attesa è finita. Dev’essere stato mentre Deianira si sistemava la veste, domandandosi se fosse degna di accogliere il suo uomo, che i suoi occhi si sono posati su un volto innocente, non ancora scavato dal tempo, e su gambe magre e pallide. Iole, figlia del re Eurito, veniva condotta alla loro dimora. È la pietà il primo sentimento che attraversa la moglie dell’eroe semidivino: nella ragazza rivedeva una se stessa ancora pura, ancora per poco. Poi la verità come una sferzata di vento gelido: quella giovane si trova lì come concubina di Eracle. Straziante il dolore di Deianira alla scoperta: la sofferenza di una donna sfiorita, ma ancora innamorata di suo marito, che si vede soppiantata da una più fresca rivale. Straziante e senza rimedio.
Eppure Deianira è convinta di poter cambiare le cose, aggiustarle: Nesso, morendo, le aveva donato un magico filtro, formato dal suo stesso sangue, assicurandole che grazie a questo Eracle non avrebbe mai amato un’altra donna in vece sua. Così ne intride una veste che invia al marito, ritrovando una breve accensione di speranza. È qui che l’autore, Sofocle, interviene nella sua tragedia, Le Trachinie, con un procedimento tipico della sua concezione dell’esistenza: l’ironia atroce, per cui un’azione rivolta a ottenere un risultato positivo si converte nel suo opposto, provocando irrimediabile rovina.
A ciò si aggiunge l’inganno che la predizione del futuro porta con sé quando gli dei vogliono travolgere la pretesa umana di correggere il proprio fato. Il sangue di Nesso era avvelenato dalle frecce di Eracle, bagnate nel sangue dell’idra, uno dei mostri da lui uccisi. Indossata la veste, l’eroe viene colto da terribili sofferenze poiché essa gli divora le carni e le ossa. Ricevuta la tremenda notizia, Deinira, senza dire una parola, si ritira nella reggia per darsi la morte.
Eracle morente, intanto, cerca il colpevole della sua terribile sciagura ma, quando apprende tutto l’accaduto, ricorda un vaticinio da cui gli era stato predetto che sarebbe morto per opera di un morto. E ancora un’altra profezia lo aveva ingannato, promettendogli che al suo ritorno in patria avrebbe finalmente riposato dalle sue fatiche: questo riposo altro non era che la morte. “Ora capisco” egli esclama, ma il sapere a cui ora è giunto non gli serve più. “Tutto coincide”: in questa tragica constatazione sta il senso profondo dell’ironia sofoclea, profonda e disperata visione dell’irrazionalità del reale.
L’eroe tragico è, nella letteratura greca e in tutta quella che ne ha accolto l’eredità, l’uomo che vorrebbe ergersi al di sopra del proprio destino, essere dio di se stesso. In genere la realtà irrazionale e inconoscibile finisce per schiacciarlo. Una sorta di disegno misterioso sembra l’ombra dei passi sul percorso di ogni uomo. Eppure, per l’eroe tragico, esso si fa più paradossale, crudele, insospettabile, così assurdo da generare un sorriso amaro. Il perché risiede proprio nei tentativi dell’eroe di sovvertirlo, quasi come se la sorte, per avere la meglio, avesse bisogno di accanirsi.
George R.R. Martin ci regala un suo ritratto della realtà e dell’uomo nel quale entrambi giganteggiano, proprio come nelle tragedie greche. L’uomo, con la sua infinita ricchezza interiore, la realtà con le sue leggi inconoscibili e definitive. Da grande scrittore quale è, si lascia influenzare dai grandi modelli del passato, li fa propri e li utilizza, come una sorta di linguaggio universale, per raccontarci la sua storia e la sua interpretazione della vita. L’eco ariostesca nella rappresentazione dei cavalieri erranti, sempre alla ricerca di qualcosa o di qualcuno che non troveranno mai, è evidente. Ma in maniera ancor più fedele, l’autore ricalca i Greci. L’eroe tragico per eccellenza, con un ego smisurato eppure pieno di tormenti e la preoccupazione costante di dare una propria decisiva impronta agli eventi, è una donna: Cersei Lannister.
<<Potete fare tre domande>> dice la vecchia, dopo essersi saziata. <<Le mie risposte non vi piaceranno. Chiedete, e poi sparite.>> […]
<<Quando sposerò il principe?>> chiede la giovane Cersei.
<<Mai. Tu sposerai il re.>> Sotto i riccioli dorati, il viso della ragazza si contorce per la perplessità. In seguito, per molti anni, Cersei aveva continuato a credere che quelle parole significassero che non avrebbe sposato Rhaegar finché suo padre Aerys non fosse morto.
<<Ma sarò regina?>> chiede la giovane Cersei.
<<Aye.>> La malignità fiammeggia negli occhi gialli di Maggy la Rana. <<Sarai regina… fino a quando non verrà un’altra regina, più bella e più giovane di te, a distruggerti e portarti via ciò che hai di più caro.>>
La rabbia altera i lineamenti ancora infantili della giovane Cersei. <<Se ci proverà, dirò a mio fratello di ucciderla.>> Ma neppure allora si ferma, quella fanciulla testarda. Ha ancora una domanda per la strega, un ultimo sguardo alla vita futura. <<Il re e io avremo figli?>> chiede.
<<Oh, aye. Sedici lui e tu tre.>> La cosa per la giovane Cersei non ha alcun senso. “Com’è possibile?” vorrebbe chiedere, ma ha esaurito le domande.
È la vecchia però che non ha ancora finito con lei. <<D’oro saranno le loro corone e d’oro i loro sudari” dice. <<E quando sarai annegata nelle tue stesse lacrime, il valonquar chiuderà le mani attorno alla tua gola bianca e stringerà finché non sopraggiungerà la morte.>>
Il primo tentativo di controllare il proprio destino: la previsione. Da ragazza, Cersei aveva provato a interpretare gli eventi, ad arrivarci preparata ed eventualmente a cercare di cambiarli. Ma, come Eracle, non aveva interpretato correttamente la divinazione. Non era Rhaegar il re che avrebbe sposato ma Robert, l’usurpatore, dal quale non avrebbe avuto alcun figlio. Forse la piccola Cersei era troppo giovane per prendere sul serio e comprendere quelle spaventose parole. La regina reggente, invece, ha le idee chiare: conosce la sorgente del pericolo che lei e i suoi figli corrono costantemente e si maledice per non averla estirpata prima di perdere Joffrey.
Valonquar è un termine che, in Alto valyriano, vuol dire “fratello minore”. Non può essere altri che Tyrion il mostro che incombe sulla vita della leonessa di Lannister. Ma noi sappiamo che Cersei ha tutte le caratteristiche dell’eroe tragico, compresa la presunta occasione di sovvertire il corso degli eventi sventando fatali pericoli. Sappiamo anche che la sua pretesa è assurda e destinata alla rovina. Le tragedie greche ci hanno insegnato che il disastro passa attraverso un’errata e tristemente ironica interpretazione delle profezie. Non può essere Tyrion, allora, il valonquar o sua sorella non avrebbe la dimostrazione schiacciante della propria piccolezza rispetto all’illogicità atroce del reale.
Dei gemelli Lannister fu la femmina a venire alla luce per prima. Che disdetta, per la nostra regina, essere primogenita e non poter godere dei privilegi che le sarebbero spettati se fosse stata un uomo! Il quadro si è composto: tutto ci porta a pensare che Jaime sia il valonquar, il fratello minore. Dalla cieca fiducia che Cersei ripone in lui e che lo rende insospettabile ai suoi occhi al fatto che si specifichi più volte che non è lui il primogenito. Impossibile prevedere come la profezia si avvererà, probabilmente il destino si divertirà a giocare con la donna che ha osato sfidarlo.
Molte ombre oscurano il personaggio di Cersei e molti lettori e telespettatori non la amano particolarmente. Eppure tutti annegheremo con lei in quel mare di lacrime. L’autore ha scelto per la regina un modello infallibile: l’ha dipinta grande e, nello stesso tempo, piccola, nobile e comune. In lei sono riflessi l’immenso potenziale dell’uomo e la sua limitatezza. Quando il fato ineluttabile si chiuderà su di lei come una morsa, soffocheremo tutti. A languire sarà lo sforzo tutto umano di non soccombere all’irrazionale. E Cersei resterà una dei pochi “eroi” che hanno provato a combattere.
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