Siamo purtroppo arrivati al season finale della quarta stagione di Game of Thrones (Il Trono di Spade in Italia), la serie televisiva fantasy creata da David Benioff e D.B. Weiss, trasposizione del ciclo di romanzi de Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco (A song of Ice and Fire) di George R.R. Martin.
Mi sarebbe piaciuto che la mia ultima recensione dell’anno fosse ad un episodio straordinario. “I 66 minuti di televisione più raffinata che abbiamo mai prodotto” avevano detto D&D, i nostri tanto amati quanto criticati autori.
A molti telespettatori The Children è piaciuta: si sono giustamente fatti rapire dai grossi colpi di scena che l’hanno costellata. Ad altri troppe incongruenze e un atteggiamento generale sbrigativo e tendente al patetico hanno fatto arricciare il naso.
Nel girone dei delusi ho incontrato lettori e non lettori. Non è vero che le incoerenze sono visibili soltanto a chi ha a disposizione il confronto con i romanzi di Martin, non è vero che la serie può esistere a prescindere da essi. Ogni deviazione, prima o poi, dovrà riprendere la “retta via”. E questo puntualmente, anche se malamente, avviene. Gli eventi fondamentali non vengono omessi: su di essi, anzi, si punta per impressionare lo spettatore.
I problemi nascono là dove, durante il viaggio, ci si allontana troppo dalla destinazione e, per tornarci, si diventa incoerenti e ridicoli.
La quarta stagione di Game of Thrones ha evidentemente risentito dell’aumento esponenziale degli ascolti e si è trasformata, da prodotto d’èlite e di qualità, a prodotto commerciale e scialbo.
L’episodio che doveva lasciarci tutti a bocca asciutta mi ha zittita catturando la mia attenzione sì e no in una o due scene. Tutto il resto? Noia, amarezza, delusione.
[su_note note_color=”#fff9a6″ radius=”6″ su-note-inner=”box-spoiler” ]Avvertiamo i lettori che la seguente recensione contiene spoiler sulla trama. Se non hai visto l’episodio o non vuoi rovinarti eventuali colpi di scena non continuare a leggere![/su_note]
La Barriera: mi chiedo come non sia ancora venuta giù con tutta la sua “irresistibile scioglievolezza”. Si sa parlare solo “di ragazze”, d’amore. L’amore, in una saga corale e onnicomprensiva, ha un suo ruolo, un suo posto, non deve certo essere piazzato in ogni dialogo per conquistare il cuore tenero del telespettatore medio!
Mance e Tormund non avevano altre preoccupazioni, altri argomenti, a parte Ygritte? Personaggi con una loro dignità e psicologia sono stati ridotti ad alfieri dei sentimenti di Jon. Un peccato, uno spreco.
Sull’arrivo di Stannis niente da dire: spettacolare e impressionante al punto giusto, con tanto di incontro tra ghiaccio e fuoco: uno sguardo senza parole, attraverso le fiamme, collega Melisandre al giovane bastardo di Ned Stark, lasciandoci in bocca il sapore dell’attesa.
I fatti di Approdo del re vedono una Cersei talmente turbata dal suo dramma di madre da dimenticare ogni barlume di razionalità. Minaccia suo padre che rivelerà al mondo il suo piccolo segreto (di Pulcinella) se sarà costretta a sposare Loras Tyrell e a lasciare la città e il figlio Tommen tra le abili grinfie di Lady Margaery. Un monologo pensato per emozionare.
Una donna intelligente come Cersei, però, può davvero arrivare a pensare di risolvere le cose con una mossa che porterebbe il suo intero casato alla morte e alla rovina? Fosse stato Jaime: l’istintivo, il passionale, il coraggioso, l’impetuoso Jaime, sarebbe stato un discorso credibile. Ma Cersei… la lucida, furba, assetata di potere regina reggente, io stentavo a riconoscerla.
Il suo ritorno pieno di passione dal fratello-amante mi ha spiazzata ancor di più. Quegli occhi sinceri, quella voglia di stare insieme nonostante tutto e tutti non appartengono alla Leonessa di Lannister. Appartenevano a Jaime, un tempo. Jaime disinteressato a potere e onori, Jaime dal cuore innamorato e devoto, Jaime che, però, il confronto con il mondo esterno ha inevitabilmente allontanato da quella che credeva la donna della sua vita.
Invece ora eccoli lì, fare l’amore come se niente fosse, quasi sognare un futuro in cui saranno accettati dal grande e inflessibile Lord Tywin, avranno mille piccoli pargoli reali e vivranno felici e contenti. Vomitevole.
Mi si potrebbe obiettare: i Cersei e Jaime della serie sono diversi da quelli dei romanzi ed è accettabile e naturale che si comportino in maniere differenti. No. Perché a questi personaggi autonomi succederanno esattamente le cose che accadono ai loro corrispettivi libreschi, a parte qualche piccola aggiunta o sottrazione. Come arriveranno a quegli eventi, a quelle evoluzioni, se per ora se ne stanno tranquillamente altrove? Dal giorno alla notte cambieranno idea sulle assurdità dette e fatte in puntate dalla troppo libera interpretazione, improvvisamente si troveranno a fare l’opposto di quel che gli autori gli hanno fatto fare finora?
Questi ibridi senza personalità, che cambiano umore come cambia il vento (o come è utile per rimettersi in pari con la storia) sono davvero i personaggi autonomi che i telespettatori in polemica con i lettori rivendicano? Non può essere così!
Riconosciamo senza pregiudizi l’importanza di una trasposizione dei romanzi rispettosa ai fini di un’ottima riuscita del prodotto televisivo! Se poi guardiamo la serie per le morti violente, i baci e le scene di sesso, è un’altra storia.
A Meereen si è poltrito finora. Per carità, la nostra regina è andata a letto con il mercenario e ha cacciato via il più devoto dei suoi consiglieri, ma le scene dedicate a lei sono state tutte mediamente noiose.
La ritroviamo seduta sul suo scranno, solita espressione vacua e tronfia, pronta ad accogliere pigramente le solite lamentele. Per l’ennesima volta deve scontrarsi con il fallimento della sua politica: uno schiavo che faceva da maestro nella famiglia che lo aveva comprato non desidera altro che tornare una proprietà privata.
“Come una bestia da soma?” si sorprende Daenerys. Ma l’anziano meereenese sa quello che vuole: una vita tranquilla, il rispetto che gli derivava dall’esercizio della sua professione. È un liberto che brama di tornare schiavo: un controsenso, l’assurdo, un’evenienza incalcolabile per la giovane regina.
La delusione più bruciante, però, le arriva dai suoi figli prediletti. Un uomo sconvolto, in lacrime, pone ai suoi piedi lo scheletro carbonizzato della sua bambina, ridotta così da “un’ombra nera”, Drogon. Daenerys è una madre che non ha il controllo delle sue creature, una regina che libera i suoi sudditi ed è costretta ad incatenare i suoi amati draghi. I figli che non ha mai avuto, l’arma che l’avrebbe portata in Occidente e che non ha saputo addomesticare.
Le bestie sembrano piangere, chiamare la mamma, mentre lei si chiude la porta alle spalle e lancia loro un ultimo sguardo colmo di lacrime. Drogon, però, è ancora libro. Libero come Daenerys vorrebbe ogni essere su cui posa lo sguardo. Libero e pericoloso.
Due coppie di viandanti si incontrano, cosa che nei libri non avviene. Di questa modifica non mi lamento troppo perché la comprendo: uno scontro fatale tra due personaggi importanti fa più gola rispetto a due duelli con personaggi quasi sconosciuti. Purtroppo, però, c’è sempre il rovescio della medaglia: Brienne, che fallisce nell’impresa pur avendo il trofeo a due passi perché non sa essere persuasiva, ci fa una pessima figura. Il Mastino, invece, rifulge di splendore in una scena intensa e commovente, la più bella della puntata. Ferito a morte, implora la sua piccola prigioniera di mettere fine alle sue sofferenze offrendogli il dono della misericordia. La provoca, la implora con voce rotta, ma Arya ha indossato la maschera di pietra della vendetta. La sua umanità è andata perduta chissà quando, chissà dove. Prende il denaro che Sandor aveva con sé e lo abbandona agonizzante, con volto impassibile.
Far incontrare Arya e Brienne non è stata una pessima idea: ha dato per un attimo alla piccola Stark l’illusione di aver incontrato una donna simile a lei e che di lei potesse prendersi cura, per poi riportarla alla consueta profonda solitudine. E Brienne, cavaliere ariostesco impegnato nella sua “vana inchiesta”, non può che tendere continuamente alla sua meta senza raggiungerla mai.
Chi, invece, finalmente arriva a destinazione è Bran. Degli esseri dalla dubbia identità, però, gli portano via l’amico veggente, il giovanissimo Jojen. È una perdita inaspettata per tutti, persino per il lettore onnisciente. Sebbene debole e cagionevole, infatti, Jojen non ha ancora perso la vita nei romanzi. È evidente, però, che farà presto quella fine. Incredibile ma vero: la serie TV che spoilera i libri.
L’incontro con le creature della foresta è meno “fantastico” di quel che mi aspettavo: l’eterna bambina la cui comparsa ha dato il titolo all’episodio sembra una bambina vera e non un essere semiumano.
Ma l’incontro più importante è quello con l’uomo albero, il corvo con tre occhi, che di volatile non ha proprio nulla, radicato com’è nel sottosuolo.
Bran gli si rivolge esattamente come farebbe un ragazzo qualunque: con gli occhi che brillano, chiede se riavrà mai le sue gambe. “Tu non camminerai mai più, Brandon Stark, ma potrai volare.” Una lezione che, sebbene sembri anticipare imprese titaniche, divine, risulta ancora dura da accettare per un bambino che voleva fare il cavaliere.
Veniamo a quello che avrebbe dovuto essere il momento centrale dell’episodio e che si è dissolto in un battito di ciglia. Un frettolosissimo Jaime Lannister irrompe nella cella buia di suo fratello e lo conduce alla libertà. Si abbracciano teneramente ma non hanno il tempo di fare quattro chiacchiere, di dirsi cose fondamentali. Peccato! Ora gli autori dovranno inventarsi chissà quale manovra perché i due maturino certe consapevolezze.
Prima di uscire dalla fortezza, Tyrion viene colto da un irrefrenabile desiderio di fare un’ultima visita a suo padre. Nella stanza del Primo Cavaliere, che un tempo era stata sua, trova la donna che gli era appartenuta e che gli aveva giurato amore eterno: Shae, la puttana.
Tra i due scoppia una lite furibonda, fatta di colpi violenti, senza parole. Sembra quasi che Tyrion la finisca per difendersi e non per punirla. La donna che lo aveva illuso ora osa giacere con suo padre, l’uomo che lo aveva fatto vergognare una vita intera di essere un frequentatore di bordelli.
Ormai accecato dalla furia omicida, dalla voglia di ribaltare il destino e diventare lui, che doveva essere giudicato, giustiziere, prende la balestra e cerca Lord Tywin. Lo trova sul vaso da notte, perché la morte dell’uomo più potente di Westeros sia la più umiliante possibile.
Mi sarebbe piaciuto che Tywin mantenesse integra la sua dignità anche nel momento estremo: non ho amato che il commiato da un personaggio tanto grande sia stato affidato a un pietoso tentativo di convincere il suo assassino a essere ragionevole e a “parlarne con calma di là”.
Tyrion in lacrime, visibilmente scosso ma incrollabile, raggiunge il suo secondo angelo custode: il ragno che gli aveva assicurato, in altra sede, di “non aver dimenticato”. Lord Varys sembra intenzionato a restare ad Approdo del re ma le campane annunciano eventi scomodi. Con volto inespressivo che racconta l’incredibile spirito di adattamento dell’eunuco, anche lui si avvia verso l’ignoto.
Un ultimo viaggio conclude l’episodio emozionandoci. Finalmente sola, a realizzare una sua vocazione, Arya Stark implora un marinaio di portarla con sé alla Barriera. Ma la nave cui si è rivolta ha un’altra destinazione: Braavos.
Il cerchio si chiude. La piccola ha conservato l’enigmatica moneta che un uomo senza volto, una vita fa, le aveva donato. La mostra al suo interlocutore e pronuncia le parole magiche: “Valar morghulis”. L’effetto è immediato: “Valar dohaeris” risponde l’ammiraglio. E la porta con sé.
Arya si allontana da casa, dalla speranza di ritrovare ciò che resta della sua famiglia, naviga spedita verso un mondo esotico, forse al sicuro dalle brutture della guerra, forse alla ricerca di se stessa.
Il mio giudizio sull’episodio non è positivo: troppo facile risultare appetibili con tutti i grandi eventi che l’hanno caratterizzato. Difficile lasciare il segno, renderli indimenticabili.
Vi lascio con un consiglio: se potete e se siete affezionati a questi immensi personaggi, leggete i libri. Non ve ne pentirete… a parte quando vi renderete conto che ne mancano ancora 12000 o quando aspetterete estati intere perché esca il prossimo. Fortuna che le stagioni da noi hanno una durata accettabile!