È andato in onda sabato 30 agosto il secondo episodio della nuova stagione di Doctor Who, la longeva serie fantascientifica dei Signori del Tempo, con il titolo “Into the Dalek” (ovvero “Peter Capaldi inizia a mostrarci il dodicesimo Dottore?”)
[su_note note_color=”#fff9a6″ radius=”6″ su-note-inner=”box-spoiler” ]Avvertiamo i lettori che la seguente recensione contiene spoiler sulla trama. Se non hai visto l’episodio o non vuoi rovinarti eventuali colpi di scena non continuare a leggere![/su_note]
Come si fa a mantenere un prodotto attraente e fresco dopo 50 anni di attività, senza rischiare (come già accaduto negli anni 80) di sembrare ripetitivi e noiosi?
Un qualsiasi pubblicitario vi risponderebbe “sfruttando qualcosa di molto familiare al pubblico”. Prendiamo questo concetto e mettiamolo in Doctor Who. Doctor Who ha la sua giusta dose di icone familiari come il TARDIS o i Cybermen ma anche la sua stessa sigla è qualcosa che è ben saldato nella cultura televisiva di ogni singolo spettatore degli ultimi anni.
L’altra familiare icona del telefilm è, naturalmente, il Dalek. Il Dalek è vecchio quasi quanto la serie stessa e, fortunamente o sfortunatamente a seconda dei casi, è quasi una scorciatoia per dimostrare che qualcosa di maligno è sempre in agguato nell’Universo del Dottore.
Ma come si può reinventare un antagonista come i Dalek? I produttori di Doctor Who hanno sempre affrontato la sfida di non caderci nel banale e due tra i più grandi, Letts e Terrance, hanno commentato in un’intervista che tutti gli script di Nation tendevano a seguire lo stesso modello del 1970. Destiny of the Dalek infatti risultò essere solo una ricostruzione stanca e noiosa delle glorie passate.
Solo in questi ultimi anni i Dalek sono stati tirati fuori con reazioni del pubblico più o meno entusiastiche; storie come Victory of the Dalek in certa misura e Asylum of the Dalek hanno frainteso lo scopo principale del Dalek – mentre questi hanno esaminato la meccanica più o meno celebrale, non li ritraggono come ciò che sono realmente: assassini terribili pronti a spazzare via ogni specie vivente.
Cosi la notizia che i Daleks sarebbero tornati per la seconda storia di Peter Capaldi è stata accolta con occhi roteanti e sbuffi. “No, di nuovo no!”. Ma contro tutte le probabilità, Into the Dalek è risultato essere un episodio di successo.
La storia affronta due fronti: reinventa i Daleks come interessante concetto sia visivo che tecnico anche se un’idea molto simile – Dottore e compagna dentro il corpo alieno – era già stato visto in The Invisible Enemy. Nel frattempo, lo stesso ideale tematico si riallaccia all’episodio del 2005 “Dalek” dove si invita lo spettatore a chiedersi chi prova più odio tra il Dottore e un Dalek.
Che cosa manca in questa storia sono gli approcci in originalità. Se l’episodio precedente ci ha mostrato delle premesse occasionali, Into the Dalek è la premessa che molti degli eccessi delle precedenti stagioni sono eliminati. Alla fine si tratta di un avventura stimolante che tende a non pretendere troppo perchè alla fine si dimostra che i Daleks sono quello che riescono a fare meglio: distruggere senza un profilo logico o qualcosa di ancestrale. La loro natura è quella e non la si può cambiare.
In caso contrario alla storia, si tratta di un elegante interpretazione del copione – si sente molto di più l’elemento fantascientifico e nozioni da assorbire, come la capsula miniaturizzante, come gli attacchi dei Dalek finemente realizzati, ma anche i maccanismi interni dei Dalek. Se Invisible Enemy non riusciva a corrispondere all’immaginazione, Into the Dalek fornisce un ambizioso e ben realizzato viaggio delle viscere del Dalek.
Oltre questo, ha anche una buona caratterizzazione per il Dottore stesso. Il dodicesimo Dottore (io lo chiamo così per comodità – inserite il numero che desiderate) sta ancora cercando di trovare il suo posto nel mondo e non è troppo sicuro di quello che sta diventando, e questo è un elemento che mette in evidenza un contrasto tra il vecchio e il nuovo sè.
Se il Dottore di Matt Smith era qualcosa di estraneo e goffo, disperato nell’adattarsi, il Dottore di Peter Capaldi sembra non essere disturbato dal non capire le sottigliezze sociali. Alla fine è un ritorno ai Dottori precedenti, l’alieno lunatico che vede un quadro più ampio in maniera brontolosa. Into the Dalek gli dà una gigantesca scatola regalo per configurare meglio le linee del suo Dottore che, rispetto ai bambini-iperattivi degli ultimi anni, recita un personaggio inquietantemente calmo. È la prova che a volte meno è più di quanto si possa fare. Dimostra anche di aver un buon rapporto con Clara (tranne per lo schiaffo) e i due condividono un rapporto più adulto rispetto alle ultime stagioni.
È comunque il “Non lo so!” di Clara alla domanda del Dottore “Sono un brav’uomo?” a dare spunto a una delle parti più interessanti dell’episodio, dove il Dottore vede del potenziale di bontà nel Dalek. Ma unendo le proprie menti, il Dalek riprende l’odio che ha per la sua razza, sfruttando le esperienze del Dottore come la Guerra del Tempo e le innumerevoli battaglie dentro di lui, e portandoci nuovamente al concetto che il Dottore potrebbe essere un buon Dalek.
Ma il peccato maggiore è che al Dalek manca la possibilità di fare del bene, ma questa volta è colpa del Dottore. Non è una vittoria da assaporare e viene sottolineata dall’adieu del Dottore con “Fino alla prossima volta”, e il Dalek risponde rimanendo in silenzio in una persistente immobilità.
Nel complesso, però, Into the Dalek è proprio un episodio a tutti gli effetti. È finemente lavorato oltre ad essere un avventura ben scritta che sfrutta appieno il suo slot di 45 minuti. Il lavoro di produzione è stellare. Peter Capaldi continua a stupire. E finalmente i Dalek riappaiono come una presenza formidabile che dimostra che lo show ha molto ancora da tirar fuori ed è ben lontano da chiudere nuovamente i battenti…